Preghiera d’inizio
Eb 13, 1-9
[1] Perseverate nell'amore fraterno. [2] Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo. [3] Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale. [4] Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. [5] La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. [6] Così possiamo dire con fiducia: Il Signore è il mio aiuto, non temerò. Che mi potrà fare l'uomo? [7] Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. [8] Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre![9] Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono.
Col 3,1-10
[1] Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; [2] pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. [3] Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! [4] Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. [5] Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, [6] cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono.[7] Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. [8] Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. [9] Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni [10] e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.
Sal 119,33-40
[33] Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
[34] Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
[35] Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
[36] Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
[37] Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
[38] Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
[39] Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
[40] Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.
Introduzione al tema
L'uomo ha imparato a dire "mio": ma tutto è davvero suo se lo ha "àddomesticato" (secondo l'espressione significativa del Piccolo principe), se cioè ha intessuto un rapporto, un legame reciproco, se egli stesso è utile a quanto dice suo. Questo è il dato naturale, spontaneo. Lo si ritrova anche nei bambini.
Accogliere il dono della creazione, le cose che il Signore ci dona, gustare la bellezza del mondo, è rendere grazie. Tutto è nostro, perché tutto è di Dio.
In questo contesto però si inserisce un dato non naturale. In Col 3,5 Paolo definisce la "avidità di guadagno" come una idolatria31. «Il male dell'amore per il denaro sopravviene dall'esterno», è un condizionamento. Questo lo rende allo stesso tempo il più facile demonio da vincere (perché non ha agganci profondi alla natura), ma anche il più letale, perché il più sofisticato. II monaco32 che si lascia prendere dal «pensiero del guadagno, non bada a nulla di tutto quello che è sbagliato [...]. Da questi pensieri il monaco viene ottenebrato, va sempre peggio e non può più essere nell'ubbidienza: al contrario si irrita, si indigna contro ciò che gli pare di non meritare, mormora per ogni lavoro, contraddice e, poiché ormai non osserva più alcun senso di rispetto, si muove come un cavallo selvaggio giù per precipizi. E neppure si accontenta del cibo quotidiano, assicura anzi di non poterlo più sopportare. Dice che Dio non è solo lì, che la sua salvezza non è chiusa lì e che, se non se ne va da quel monastero, si perde. E così, avendo come collaboratore di questi pensieri corrotti il denaro che ha custodito, e da questo reso leggero come da ali, comincia a pensare di uscire dal monastero e infine, con superbia e asprezza verso ciò che ha professato, si separa e, considerandosi come uno straniero, un forestiero, se vede nel monastero qualcosa che ha bisogno di essere corretto lo trascura, lo disprezza e ha da dire su tutto ciò che si fa. Poi va in cerca di qualche pretesto per andare in collera o rattristarsi, in modo da non apparire una persona leggera che esce dal monastero senza motivo. E se, con insinuazioni e vaniloqui, può ingannare qualcuno e farlo uscire dal monastero, non indietreggia nemmeno di fronte a questo, perché vuole associare qualcuno alla sua caduta»33
È possibile liberarsi da questo demone? «Colui a cui si sono appena aperti gli occhi e che ha incominciato a contemplare le nature degli esseri, prende le armi della fede contro lo spirito dell'incredulo amore del denaro. Egli eleva il suo intelletto alla meditazione delle cose divine, rende acuta la ragione con le ragioni della creazione, dà con chiarezza la spiegazione delle loro nature. Con la fede, conduce l'anima dalle cose visibili alle altezze delle invisibili. Si persuade che Dio, il quale conduce dal non essere all'essere tutte le cose, provvede alle sue opere, e pone ogni sua speranza nella vita divina»34. In questo testo, pur con i termini di un'altra cultura, viene delineato un itinerario di liberazione dall'avarizia:
- capire "le ragioni della creazione", cioè il messaggio positivo delle cose create, che esse cioè sono buone e per l'uomo;
- percepire le "altezze delle invisibili" a partire dalle "cose visibili", cioè capire il significato simbolico, il rimando, il contenuto sacramentale del visibile;
- credere nella provvidenza35;
- vivere il primato della "vita divina", della presenza e dell'amore di Dio. Nella fede.
31 I giudei la attribuivano ai pagani, ma anche Gesù ne parla come di una idolatria: cf. Lc 12,15; 16,13; Mc 7,22; Mt 6,24.
32 Anche per i sufi musulmani la povertà è una scelta importante di vita e di amore di Dio. Il loro successo presso il popolo è proprio dovuto alla loro povertà. Essi non apprezzano la verginità, ma la povertà sì. Attar di Nishapur racconta di un uomo potente che cavalca facendo sfoggio delle sue ricchezze. «Una vecchia che passava zoppicando rispose: "È un uomo povero, non ricco. Infatti se Allah non gli avesse negato la sua benevolenza, non nutrirebbe tanta vanità"» (citato in Shah, 58). E Saadi di Shiraz: «Il fondamento della tirannia nel mondo era all'inizio una piccolezza. Ognuno l'ha ingrandito sinché esso ha raggiunto le dimensioni odierne. Per ogni mezzo uovo che il sultano ritiene suo diritto prendere con la forza le sue truppe metteranno mille volatili allo spiedo» (Shah, 73).
33 Cassiano, 136.
34 NICETA STETHATOS, Prima Centuria. Capitoli pratici, in La Filoca¬lia, 3, Gribaudi, Torino 1985, 404.
35 A cui noi oggi aggiungeremmo: diventare provvidenza.
Riflessione di gruppo
Dalla lettura di questo testo introduttivo è sorta in noi una domanda spontanea: ma che cosa intendiamo quando diciamo “mio”?
Le risposte sono state molte e differenti. Il “mio” è innanzi tutto visto come qualcosa che abbiamo compreso appieno, che abbiamo interiorizzato nella nostra coscienza contribuendo all’arricchimento del nostro sapere. Esso però è anche strettamente collegato alla dimensione privata della vita di una persona: “ mio” è infatti qualcosa che non è di nessun altro, qualcosa di riservato, di relativo (soprattutto se parliamo di opinioni e di pensiero, nonché di punti presi come riferimento per un dato fenomeno -vedi la teoria della relatività di Einstein). Infine, mio è ciò che mi può essere rubato dagli altri, il mio intimo violato dalle persone che mi circondano.
Questa disposizione d’animo, se non controllata e indirizzata correttamente, rischia però di trasformarsi nel secondo vizio da noi preso in esame: l’ Avarizia.
Nel mondo latino essa viene spesso accostata al termine “avidità”, con una sottile differenza rispetto a ciò che intendiamo noi oggi: mentre infatti nel mondo antico l’avidità e l’avarizia erano sinonimi di una disposizione dell’animo volta al movimento, alla ricerca di ottenere sempre qualcosa in più, nella lingua italiana il termine “avaro” implica invece un’idea di staticità: io ho, posseggo, ma non do nulla.
L’avarizia/avidità può manifestarsi in tutti gli ambiti della nostra vita, dalla dimensione più strettamente personale a quella relazionale, fino ad esplicarsi nel nostro desiderio di dominio e possesso del Creato.
Essa ci induce dunque a vedere il mondo con un’ottica di conquista e di appropriazione delle risorse, considerate “esclusivamente mie, alla disposizione dei miei bisogni e dei miei piaceri”, inducendoci a dimenticare che il mondo in cui noi viviamo non è solo nostro, ma anche degli altri e di coloro che verranno dopo di noi. L’ homo avidus tende dunque a nascondere la sua consapevolezza di essere creatura creata, limitata nella sua finitudine, contaminando il suo rapporto con gli altri e con le cose stesse nel logorante desiderio di diventare lui stesso il Dio che l’ha creato.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 09:56:43
Eb 13, 1-9
[1] Perseverate nell'amore fraterno. [2] Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo. [3] Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale. [4] Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. [5] La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. [6] Così possiamo dire con fiducia: Il Signore è il mio aiuto, non temerò. Che mi potrà fare l'uomo? [7] Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. [8] Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre![9] Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono.
Col 3,1-10
[1] Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; [2] pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. [3] Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! [4] Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. [5] Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, [6] cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono.[7] Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. [8] Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. [9] Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni [10] e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.
Sal 119,33-40
[33] Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
[34] Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
[35] Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
[36] Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
[37] Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
[38] Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
[39] Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
[40] Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.
Introduzione al tema
L'uomo ha imparato a dire "mio": ma tutto è davvero suo se lo ha "àddomesticato" (secondo l'espressione significativa del Piccolo principe), se cioè ha intessuto un rapporto, un legame reciproco, se egli stesso è utile a quanto dice suo. Questo è il dato naturale, spontaneo. Lo si ritrova anche nei bambini.
Accogliere il dono della creazione, le cose che il Signore ci dona, gustare la bellezza del mondo, è rendere grazie. Tutto è nostro, perché tutto è di Dio.
In questo contesto però si inserisce un dato non naturale. In Col 3,5 Paolo definisce la "avidità di guadagno" come una idolatria31. «Il male dell'amore per il denaro sopravviene dall'esterno», è un condizionamento. Questo lo rende allo stesso tempo il più facile demonio da vincere (perché non ha agganci profondi alla natura), ma anche il più letale, perché il più sofisticato. II monaco32 che si lascia prendere dal «pensiero del guadagno, non bada a nulla di tutto quello che è sbagliato [...]. Da questi pensieri il monaco viene ottenebrato, va sempre peggio e non può più essere nell'ubbidienza: al contrario si irrita, si indigna contro ciò che gli pare di non meritare, mormora per ogni lavoro, contraddice e, poiché ormai non osserva più alcun senso di rispetto, si muove come un cavallo selvaggio giù per precipizi. E neppure si accontenta del cibo quotidiano, assicura anzi di non poterlo più sopportare. Dice che Dio non è solo lì, che la sua salvezza non è chiusa lì e che, se non se ne va da quel monastero, si perde. E così, avendo come collaboratore di questi pensieri corrotti il denaro che ha custodito, e da questo reso leggero come da ali, comincia a pensare di uscire dal monastero e infine, con superbia e asprezza verso ciò che ha professato, si separa e, considerandosi come uno straniero, un forestiero, se vede nel monastero qualcosa che ha bisogno di essere corretto lo trascura, lo disprezza e ha da dire su tutto ciò che si fa. Poi va in cerca di qualche pretesto per andare in collera o rattristarsi, in modo da non apparire una persona leggera che esce dal monastero senza motivo. E se, con insinuazioni e vaniloqui, può ingannare qualcuno e farlo uscire dal monastero, non indietreggia nemmeno di fronte a questo, perché vuole associare qualcuno alla sua caduta»33
È possibile liberarsi da questo demone? «Colui a cui si sono appena aperti gli occhi e che ha incominciato a contemplare le nature degli esseri, prende le armi della fede contro lo spirito dell'incredulo amore del denaro. Egli eleva il suo intelletto alla meditazione delle cose divine, rende acuta la ragione con le ragioni della creazione, dà con chiarezza la spiegazione delle loro nature. Con la fede, conduce l'anima dalle cose visibili alle altezze delle invisibili. Si persuade che Dio, il quale conduce dal non essere all'essere tutte le cose, provvede alle sue opere, e pone ogni sua speranza nella vita divina»34. In questo testo, pur con i termini di un'altra cultura, viene delineato un itinerario di liberazione dall'avarizia:
- capire "le ragioni della creazione", cioè il messaggio positivo delle cose create, che esse cioè sono buone e per l'uomo;
- percepire le "altezze delle invisibili" a partire dalle "cose visibili", cioè capire il significato simbolico, il rimando, il contenuto sacramentale del visibile;
- credere nella provvidenza35;
- vivere il primato della "vita divina", della presenza e dell'amore di Dio. Nella fede.
31 I giudei la attribuivano ai pagani, ma anche Gesù ne parla come di una idolatria: cf. Lc 12,15; 16,13; Mc 7,22; Mt 6,24.
32 Anche per i sufi musulmani la povertà è una scelta importante di vita e di amore di Dio. Il loro successo presso il popolo è proprio dovuto alla loro povertà. Essi non apprezzano la verginità, ma la povertà sì. Attar di Nishapur racconta di un uomo potente che cavalca facendo sfoggio delle sue ricchezze. «Una vecchia che passava zoppicando rispose: "È un uomo povero, non ricco. Infatti se Allah non gli avesse negato la sua benevolenza, non nutrirebbe tanta vanità"» (citato in Shah, 58). E Saadi di Shiraz: «Il fondamento della tirannia nel mondo era all'inizio una piccolezza. Ognuno l'ha ingrandito sinché esso ha raggiunto le dimensioni odierne. Per ogni mezzo uovo che il sultano ritiene suo diritto prendere con la forza le sue truppe metteranno mille volatili allo spiedo» (Shah, 73).
33 Cassiano, 136.
34 NICETA STETHATOS, Prima Centuria. Capitoli pratici, in La Filoca¬lia, 3, Gribaudi, Torino 1985, 404.
35 A cui noi oggi aggiungeremmo: diventare provvidenza.
Riflessione di gruppo
Dalla lettura di questo testo introduttivo è sorta in noi una domanda spontanea: ma che cosa intendiamo quando diciamo “mio”?
Le risposte sono state molte e differenti. Il “mio” è innanzi tutto visto come qualcosa che abbiamo compreso appieno, che abbiamo interiorizzato nella nostra coscienza contribuendo all’arricchimento del nostro sapere. Esso però è anche strettamente collegato alla dimensione privata della vita di una persona: “ mio” è infatti qualcosa che non è di nessun altro, qualcosa di riservato, di relativo (soprattutto se parliamo di opinioni e di pensiero, nonché di punti presi come riferimento per un dato fenomeno -vedi la teoria della relatività di Einstein). Infine, mio è ciò che mi può essere rubato dagli altri, il mio intimo violato dalle persone che mi circondano.
Questa disposizione d’animo, se non controllata e indirizzata correttamente, rischia però di trasformarsi nel secondo vizio da noi preso in esame: l’ Avarizia.
Nel mondo latino essa viene spesso accostata al termine “avidità”, con una sottile differenza rispetto a ciò che intendiamo noi oggi: mentre infatti nel mondo antico l’avidità e l’avarizia erano sinonimi di una disposizione dell’animo volta al movimento, alla ricerca di ottenere sempre qualcosa in più, nella lingua italiana il termine “avaro” implica invece un’idea di staticità: io ho, posseggo, ma non do nulla.
L’avarizia/avidità può manifestarsi in tutti gli ambiti della nostra vita, dalla dimensione più strettamente personale a quella relazionale, fino ad esplicarsi nel nostro desiderio di dominio e possesso del Creato.
Essa ci induce dunque a vedere il mondo con un’ottica di conquista e di appropriazione delle risorse, considerate “esclusivamente mie, alla disposizione dei miei bisogni e dei miei piaceri”, inducendoci a dimenticare che il mondo in cui noi viviamo non è solo nostro, ma anche degli altri e di coloro che verranno dopo di noi. L’ homo avidus tende dunque a nascondere la sua consapevolezza di essere creatura creata, limitata nella sua finitudine, contaminando il suo rapporto con gli altri e con le cose stesse nel logorante desiderio di diventare lui stesso il Dio che l’ha creato.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 09:56:43