Mercoledì 11 marzo abbiamo continuato le nostre riunioni quaresimali sul tema della fede con l’esegesi della Lettera di S.Paolo ai Romani, con la quale l’autore cerca di spiegare il concetto di giustizia agli occhi di Dio.
L’epistola si apre con la consapevolezza che l’essere giusti di fronte a Dio non è nient’altro che il frutto della sua iniziativa nei confronti degli uomini, manifestatasi nella Sua azione salvifica nel corso dei secoli. E’ proprio da questo punto che parte la critica di S.Paolo ai suoi correligionari, i quali ritenevano che l’uomo era buono per sua stessa natura. Invece è proprio l’azione dello Spirito ad instillare nell’uomo l’amore verso il prossimo, il quale si manifesta nelle azioni di ognuno nella vita quotidiana.
La più fulgida testimonianza di questa infinità bontà di Dio è il suo tentativo di ricostruire l’antica relazione con l’uomo, rovinata dall’esperienza del peccato e dal sospetto dell’uomo; tale opera è iniziata nel Vecchio Testamento per poi proseguire nel Nuovo. In ogni momento rimane costante l’opposizione dell’uomo che lo rende ingiusto e lo rovina.
A questo punto si può quindi affermare con certezza che la concretezza della fede si manifesta nel totale affidamento della nostra vita in Gesù. Egli solo ci trasforma continuamente in Cristo e quindi l’uomo giusto è colui che lascia invadere completamente dallo Spirito e dall’amore. Tale intento salvifico è bloccato proprio dal peccato;è quindi necessario esserne consapevoli e riavviare tramite la penitenza tale processo.
Tutto tale ragionamento non prevede un’anarchia; ovvero le opere sono necessarie per rendere vera la fede vissuta, in veste di una trasformazione ontologica dell’essere, dando così modo di ricreare l’uomo buono.
Scritto da nicolo il marzo 16 2009 14:55:21
L’epistola si apre con la consapevolezza che l’essere giusti di fronte a Dio non è nient’altro che il frutto della sua iniziativa nei confronti degli uomini, manifestatasi nella Sua azione salvifica nel corso dei secoli. E’ proprio da questo punto che parte la critica di S.Paolo ai suoi correligionari, i quali ritenevano che l’uomo era buono per sua stessa natura. Invece è proprio l’azione dello Spirito ad instillare nell’uomo l’amore verso il prossimo, il quale si manifesta nelle azioni di ognuno nella vita quotidiana.
La più fulgida testimonianza di questa infinità bontà di Dio è il suo tentativo di ricostruire l’antica relazione con l’uomo, rovinata dall’esperienza del peccato e dal sospetto dell’uomo; tale opera è iniziata nel Vecchio Testamento per poi proseguire nel Nuovo. In ogni momento rimane costante l’opposizione dell’uomo che lo rende ingiusto e lo rovina.
A questo punto si può quindi affermare con certezza che la concretezza della fede si manifesta nel totale affidamento della nostra vita in Gesù. Egli solo ci trasforma continuamente in Cristo e quindi l’uomo giusto è colui che lascia invadere completamente dallo Spirito e dall’amore. Tale intento salvifico è bloccato proprio dal peccato;è quindi necessario esserne consapevoli e riavviare tramite la penitenza tale processo.
Tutto tale ragionamento non prevede un’anarchia; ovvero le opere sono necessarie per rendere vera la fede vissuta, in veste di una trasformazione ontologica dell’essere, dando così modo di ricreare l’uomo buono.
Scritto da nicolo il marzo 16 2009 14:55:21