La scorsa riunione abbiamo incominciato ad analizzare la prima lettera di S. Paolo ai Galati, rispettando la tradizionale usanza della FUCI di discutere, durante le riunioni di Quaresima ed Avvento, di temi legati più alla fede, soprattutto per quanto riguarda il nostro cammino personale.
L’intento stesso dell’apostolo Paolo era quello di proporre la sua conversione alla fede come paradigma per la vita spirituale e sociale d’ogni Cristiano; lui stesso, proprio per rafforzare questo parallelismo e per accentuare il forte impatto nella sua vita, racconta l’episodio più volte nelle sue lettere.
L’autore voleva inoltre dimostrare, tramite questo documento, l’autenticità del suo messaggio, non rinnegando, ma anzi riproponendo la storia del suo passato di persecutore dei Cristiani; in questo modo vuole convincere della sua conversione tutti quelli che lo ascoltano.
L’esegesi vuole capire come Paolo abbia percepito questo momento.
Appare subito al versetto 12 come la conversione dell’apostolo sia il frutto di una rivelazione, in altre parole di un incontro personale che il Signore si accinge a compiere nei confronti d’ogni uomo, il quale avviene per grazia (versetto 15). Tale esperienza non è infatti legata ai meriti del singolo individuo, ma è Dio stesso che inizia questa missione salvifica nei confronti d’ogni uomo, indipendemente dalla storia della sua vita.
La fede è dunque un dono che consente una rilettura della storia della propria vita nella quale la mano del Signore è sempre intervenuta, nonostante l’Uomo si sforzi di negarlo. Ed è proprio tale consapevolezza che permette a Paolo di continuare la sua missione e di non aver paura nel raccontare agli altri la sua storia, caratterizzata come quella di ogni uomo da negatività e contraddizioni. E più l’apostolo continua nella sua missione di diffondere il Verbo, più si rende conto di questa sua presenza che gli ha permesso in quanto Greco di tradurre il Vangelo per altre colture e, in quanto cittadino Romano, di appellarsi a Roma e confermare nella fede le comunità locali.
Scritto da nicolo il dicembre 15 2008 20:55:52
L’intento stesso dell’apostolo Paolo era quello di proporre la sua conversione alla fede come paradigma per la vita spirituale e sociale d’ogni Cristiano; lui stesso, proprio per rafforzare questo parallelismo e per accentuare il forte impatto nella sua vita, racconta l’episodio più volte nelle sue lettere.
L’autore voleva inoltre dimostrare, tramite questo documento, l’autenticità del suo messaggio, non rinnegando, ma anzi riproponendo la storia del suo passato di persecutore dei Cristiani; in questo modo vuole convincere della sua conversione tutti quelli che lo ascoltano.
L’esegesi vuole capire come Paolo abbia percepito questo momento.
Appare subito al versetto 12 come la conversione dell’apostolo sia il frutto di una rivelazione, in altre parole di un incontro personale che il Signore si accinge a compiere nei confronti d’ogni uomo, il quale avviene per grazia (versetto 15). Tale esperienza non è infatti legata ai meriti del singolo individuo, ma è Dio stesso che inizia questa missione salvifica nei confronti d’ogni uomo, indipendemente dalla storia della sua vita.
La fede è dunque un dono che consente una rilettura della storia della propria vita nella quale la mano del Signore è sempre intervenuta, nonostante l’Uomo si sforzi di negarlo. Ed è proprio tale consapevolezza che permette a Paolo di continuare la sua missione e di non aver paura nel raccontare agli altri la sua storia, caratterizzata come quella di ogni uomo da negatività e contraddizioni. E più l’apostolo continua nella sua missione di diffondere il Verbo, più si rende conto di questa sua presenza che gli ha permesso in quanto Greco di tradurre il Vangelo per altre colture e, in quanto cittadino Romano, di appellarsi a Roma e confermare nella fede le comunità locali.
Scritto da nicolo il dicembre 15 2008 20:55:52