Dato che siamo stati invitati a prendere parte ad una discussione sul rapporto Stato-Chiesa per i giovani all’inizio del terzo millennio, abbiamo incentrato la riunione di oggi su questo tema.
I nostri punti di riferimento sono la Costituzione e la Dottrina Sociale della Chiesa.
La prima osservazione è partita da uno dei principi della Dottrina: la partecipazione. Nel capitolo a riguardo si invita alla creazione di una comunità globale che sappia superare le frontiere dei singoli Stati; cosa che invece non è presente nella Costituzione: se le disposizioni internazionali sono anticostituzionali, l’Italia ha diritto a bloccarle.
La seconda osservazione riguarda invece il ruolo dei cattolici in quanto cittadini. Espressione della cittadinanza cresce e si modifica a seconda del ruolo che uno ha. Il fatto di essere cristiani può aiutare anche ad essere cittadini in maniera responsabile, perchè molte espressioni della vita del cristiano (responsabilità, solidarietà...) favoriscono anche la cittadinanza.
La nostra attenzione si è quindi spostata sul tema del rapporto Stato-Chiesa, sulle spinose quanto attuali problematiche del diritto della Chiesa di esprimere la propria posizione.
Si è fatto presente che lo Stato deve garantire per quanto possibile i diritti di tutti ed è espressione della maggioranza; quindi se la maggioranza non condivide la stessa visione cristiana è legittimo che le leggi possano andare contro alla morale cristiana. Però non è democrazia imporre alla Chiesa il silenzio; essa ha comunque il diritto di chiedere ai cristiani di seguire certi valori.
Inoltre bisogna distinguere quando il clero parla solo ai credenti e quando si rivolge alla società intera; spesso infatti si prende come una volontà di imporre le proprie idee, quando invece il messaggio è rivolto solo a chi crede.
Quando la Chiesa parla alla società, lo fa con l’idea di proporre un modello positivo, come per altro succede per altre correnti politiche. Se un cattolico crede che certi atteggiamenti possano essere dannosi per la società in cui vive ha il diritto di criticarli, pur rispettando ed accettando quelle che sono le leggi dello Stato.
Il cattolico impegnato in politica deve essere pienamente cosciente della necessità di giungere ad un compromesso e soprattutto dello scarto sempre esistente tra quello che è il suo ideale ispirato al Vangelo e quello che potrà effettivamente realizzare. Inoltre egli parla a titolo personale, non a titolo della Chiesa, e deve essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità, senza avere la pretesa di avere sempre e comunque il consenso da parte del clero. Qui si innesta poi il problema tutto interno alla Chiesa del come gestire queste situazioni, calcolando i pro ed i contro per evitare di creare fratture o isolamenti.
Scritto da Bianca il maggio 29 2007 11:39:02
I nostri punti di riferimento sono la Costituzione e la Dottrina Sociale della Chiesa.
La prima osservazione è partita da uno dei principi della Dottrina: la partecipazione. Nel capitolo a riguardo si invita alla creazione di una comunità globale che sappia superare le frontiere dei singoli Stati; cosa che invece non è presente nella Costituzione: se le disposizioni internazionali sono anticostituzionali, l’Italia ha diritto a bloccarle.
La seconda osservazione riguarda invece il ruolo dei cattolici in quanto cittadini. Espressione della cittadinanza cresce e si modifica a seconda del ruolo che uno ha. Il fatto di essere cristiani può aiutare anche ad essere cittadini in maniera responsabile, perchè molte espressioni della vita del cristiano (responsabilità, solidarietà...) favoriscono anche la cittadinanza.
La nostra attenzione si è quindi spostata sul tema del rapporto Stato-Chiesa, sulle spinose quanto attuali problematiche del diritto della Chiesa di esprimere la propria posizione.
Si è fatto presente che lo Stato deve garantire per quanto possibile i diritti di tutti ed è espressione della maggioranza; quindi se la maggioranza non condivide la stessa visione cristiana è legittimo che le leggi possano andare contro alla morale cristiana. Però non è democrazia imporre alla Chiesa il silenzio; essa ha comunque il diritto di chiedere ai cristiani di seguire certi valori.
Inoltre bisogna distinguere quando il clero parla solo ai credenti e quando si rivolge alla società intera; spesso infatti si prende come una volontà di imporre le proprie idee, quando invece il messaggio è rivolto solo a chi crede.
Quando la Chiesa parla alla società, lo fa con l’idea di proporre un modello positivo, come per altro succede per altre correnti politiche. Se un cattolico crede che certi atteggiamenti possano essere dannosi per la società in cui vive ha il diritto di criticarli, pur rispettando ed accettando quelle che sono le leggi dello Stato.
Il cattolico impegnato in politica deve essere pienamente cosciente della necessità di giungere ad un compromesso e soprattutto dello scarto sempre esistente tra quello che è il suo ideale ispirato al Vangelo e quello che potrà effettivamente realizzare. Inoltre egli parla a titolo personale, non a titolo della Chiesa, e deve essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità, senza avere la pretesa di avere sempre e comunque il consenso da parte del clero. Qui si innesta poi il problema tutto interno alla Chiesa del come gestire queste situazioni, calcolando i pro ed i contro per evitare di creare fratture o isolamenti.
Scritto da Bianca il maggio 29 2007 11:39:02