Mercoledì 7 gennaio abbiamo avuto come ospite e relatore alla riunione il chiarissimo professor Todescan dell’Università degli studi di Padova, il quale ci ha spiegato quali possano essere le origini del liberalismo. Essendo la materia molto vasta, il docente ha voluto richiamare per sommi capi i punti di riferimento principali.
Tale dottrina politica – anche se sarebbe meglio parlare di una serie d’atteggiamenti dell’individuo- nasce nel Seicento, subito dopo la Pace di Westfalia (1648), in pratica nel periodo dove sono teorizzate le principali forme di governo possibili per uno Stato.
Si passa così da Hobbes che getta le basi teoriche dello Stato Assoluto, a Kant, il teorico dello Stato di diritto, Rosseau, l’ideatore della democrazia moderna e Locke, il fondatore teorico dello Stato liberale. Per quanto abbiano idee diverse, tutti questi filosofi partono dal medesimo schema di pensiero, la cosiddetta “scuola del pensiero laico”: l’uomo è pensato in uno stato naturale, il superamento del quale è consentito solo mediante un contratto sociale che porta poi alla nascita dello Stato.
Come si diceva prima però, le conclusioni sono differenti. Hobbes ritiene infatti tutti gli individui uguali e perciò desiderosi di avere in ugual misura tutti quei beni volti a soddisfare i propri bisogni; essendo però i beni a loro disposizione finiti, accade la bellum omnium erga omnes ( la guerra di tutti contro tutti). A causa di questa situazione in pratica invivibile, è resa assolutamente necessaria la presenza di un sovrano che, con poteri assoluti, ponga dei limiti.
Ben diversa è la situazione per Locke. Egli individua tre diritti fondamentali dell’individuo; il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà. Tuttavia per il filosofo l’uomo è per natura un essere limitato, non può avere tutto – come invece sosteneva Hobbes.
E’ necessario tuttavia che i medesimi individui abbiano altri due di diritto fondamentali:
il diritto a farsi giustizia da solo
il diritto di punire il trasgressore- - ed allora in questo caso nasce il problema di una reazione che non sia eccessivamente sproporzionata al danno subito.
Sono proprio questi i due aspetti che non funzionano nello “stato di natura” ed è per questo che nasce un organismo volto proprio ad eliminare tali inefficienze, uno Stato che possa garantire questi diritti, definiti naturali primari.
“Cugino” del liberalismo in campo economico è il liberismo, che comporta la rigida applicazione del principio di libertà e la totale assenza di intervento dello Stato, in quanto tutto si regola sull’interazione fra domanda ed offerta. E qui appare un primo rischio del liberalismo: la garanzia potrebbe essere solo qualcosa di facciata che non venga veramente applicato.
L’altro grosso rischio è quello in virtù del quale il liberalismo possa sfociare in libertarismo; una dottrina che funzionerebbe bene se e solo se tutte le libertà fossero perfettamente connesse fra di loro. Dal momento infatti che i diritti possono entrare in conflitto fra di loro e tale contrasto si può risolvere in due modi
con un arbitro ed allora è garantita una certa imparzialità
senza un arbitro ed allora la situazione è deleteria. E’ in tal modo negata la necessità di mediare fra diverse istanze configgenti)
In conclusione, se da un lato il liberalismo pone dei limiti all’individuo ed allo Stato stesso, dall’altro è troppo grande il rischio che tale dottrina non sia effettivamente applicata.
Scritto da nicolo il gennaio 13 2009 19:41:13
Tale dottrina politica – anche se sarebbe meglio parlare di una serie d’atteggiamenti dell’individuo- nasce nel Seicento, subito dopo la Pace di Westfalia (1648), in pratica nel periodo dove sono teorizzate le principali forme di governo possibili per uno Stato.
Si passa così da Hobbes che getta le basi teoriche dello Stato Assoluto, a Kant, il teorico dello Stato di diritto, Rosseau, l’ideatore della democrazia moderna e Locke, il fondatore teorico dello Stato liberale. Per quanto abbiano idee diverse, tutti questi filosofi partono dal medesimo schema di pensiero, la cosiddetta “scuola del pensiero laico”: l’uomo è pensato in uno stato naturale, il superamento del quale è consentito solo mediante un contratto sociale che porta poi alla nascita dello Stato.
Come si diceva prima però, le conclusioni sono differenti. Hobbes ritiene infatti tutti gli individui uguali e perciò desiderosi di avere in ugual misura tutti quei beni volti a soddisfare i propri bisogni; essendo però i beni a loro disposizione finiti, accade la bellum omnium erga omnes ( la guerra di tutti contro tutti). A causa di questa situazione in pratica invivibile, è resa assolutamente necessaria la presenza di un sovrano che, con poteri assoluti, ponga dei limiti.
Ben diversa è la situazione per Locke. Egli individua tre diritti fondamentali dell’individuo; il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà. Tuttavia per il filosofo l’uomo è per natura un essere limitato, non può avere tutto – come invece sosteneva Hobbes.
E’ necessario tuttavia che i medesimi individui abbiano altri due di diritto fondamentali:
il diritto a farsi giustizia da solo
il diritto di punire il trasgressore- - ed allora in questo caso nasce il problema di una reazione che non sia eccessivamente sproporzionata al danno subito.
Sono proprio questi i due aspetti che non funzionano nello “stato di natura” ed è per questo che nasce un organismo volto proprio ad eliminare tali inefficienze, uno Stato che possa garantire questi diritti, definiti naturali primari.
“Cugino” del liberalismo in campo economico è il liberismo, che comporta la rigida applicazione del principio di libertà e la totale assenza di intervento dello Stato, in quanto tutto si regola sull’interazione fra domanda ed offerta. E qui appare un primo rischio del liberalismo: la garanzia potrebbe essere solo qualcosa di facciata che non venga veramente applicato.
L’altro grosso rischio è quello in virtù del quale il liberalismo possa sfociare in libertarismo; una dottrina che funzionerebbe bene se e solo se tutte le libertà fossero perfettamente connesse fra di loro. Dal momento infatti che i diritti possono entrare in conflitto fra di loro e tale contrasto si può risolvere in due modi
con un arbitro ed allora è garantita una certa imparzialità
senza un arbitro ed allora la situazione è deleteria. E’ in tal modo negata la necessità di mediare fra diverse istanze configgenti)
In conclusione, se da un lato il liberalismo pone dei limiti all’individuo ed allo Stato stesso, dall’altro è troppo grande il rischio che tale dottrina non sia effettivamente applicata.
Scritto da nicolo il gennaio 13 2009 19:41:13