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Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te”.
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio” .
Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei.
Preghiera
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.
La superbia
il bisogno esagerato di riconoscimento..
Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento.
Origini psicologiche
La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, che è sempre teso alla ricerca e all'affermazione della sua identità. L'identità non è qualche cosa che si elabora al proprio interno, ma è qualche cosa che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri, da cui attende il riconoscimento.
Il bisogno di riconoscimento nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Origini "storiche"
A un certo punto della nostra Storia, il Comunismo ha affermato che gli uomini sono tutti uguali. Da una parte, il diffondersi di tali convinzioni è stato benefico al progresso: gli uomini hanno incominciato ad avere pari opportunità indipendentemente da razza, credo, estrazione sociale.
D'altra parte, tuttavia, una forma esasperata di uguaglianza, riconosciuta per diritto di nascita, ha prodotto quell'omogeinizzazione dell'umanità che toglie ad ogni uomo la lotta per il riconoscimento, favorendo di conseguenza l'esplosione della superbia.
Cosa si dice sulla superbia...
La simulazione dell'umiltà è peggiore della superbia. (Sant'Agostino)
La vita è una lunga lezione di umiltà. (J.M.Barrie)
I cimiteri sono pieni di persone insostituibili. (George Clemenceau)
La falsa modestia è forse il solo oratore che, parlando di se, cede volentieri la parola ad altri. (Abraham Dufresne)
Non ho pietà per i presuntuosi, perchè credo che portano con se il loro conforto. (George Eliot)
Si è orgogliosi quando si ha qualcosa da perdere e umili quando c'è qualcosa da guadagnarci. (Herny James)
Gli uomini, infatti, sono tutti diversi. É certamente giusto che abbiano pari opportunità, nondimeno ci tengono alla loro individualità e unicità. Se vivono in condizioni che non permettono di rivendicare il proprio valore personale, in una società in cui, per "statuto", sono tutti uguali, è più probabile che la superbia e la vanagloria possano trovare terreno fertile per svilupparsi.
Anche il Cristianesimo, male interpretato, è stato utilizzato per affermare che gli uomini sono tutti uguali. In effetti il messaggio del Vangelo era un altro: Gesù affermava infatti che "gli uomini sono un Uno", non che sono tutti uguali, e la parabola dei Talenti ne è una dimostrazione…
Al contrario, in una società in cui vengono apprezzate le differenze, le persone possono essere orgogliose, nella accezione positiva del termine. L'orgoglio sano è quello che ci porta a difendere la nostra dignità di esseri umani, a rifiutare compromessi, a non farci calpestare, e ad essere soddisfatti di noi stessi quando ci realizziamo.
Nulla di buono potremmo fare senza una adeguata stima di noi, stima che dipende dalla consapevolezza delle nostre doti e dei nostri limiti. Ma quando l'orgoglio travalica, si trasforma in vanità, boria, e superbia.
Il comportamento del superbo
Di solito la persona superba si conosce poco; é talmente infatuata di se stessa che ogni tentativo di renderla più consapevole si rivela inutile. Non vuole intendere ragione, non tollera alcuna contraddizione e gli piace la compagnia degli adulatori.
La superbia fa sì che l'uomo si opponga ad ogni trasformazione interiore; fa tutto il possibile perché l'uomo non veda ciò che c'è di buono nell'altro, non perdoni, non esprima i suoi sentimenti e le sue emozioni, non sia autentico, non cerchi di fare qualche cosa per la sua crescita personale.
Le soluzioni per correggere la superbia
Correttivo della superbia è l'umiltà, ma non quella che coincide con la diminuzione di sé fino al limite dell'autodenigrazione. Piuttosto, quell'umiltà che frena l'impulso ad ignorare i propri limiti e perseguire mete che non sono alla propria portata.
La consapevolezza dei propri limiti concede ad ognuno di essere orgoglioso di sé senza doversi sottomettere ad un altro per umiltà, perché in questo caso non di umiltà si tratterebbe, ma di umiliazione.
Le relazioni con gli altri peccati capitali
La superbia è sottilmente imparentata con l'invidia, poiché il superbo, se da un lato tende a superare gli altri, quando a sua volta è superato non si rassegna, e l'effetto di questa non rassegnazione è l'invidia.
Al pari dell'invidia, anche la superbia ha un carattere "relazionale" nel senso che nessuno si insuperbisce in solitudine, ma sempre in relazione agli altri, di cui ha un assoluto bisogno per poter esprimere nei loro confronti la sua superiorità.
Conclusione
Nella nostra cultura c'è poco orgoglio e molta superbia, poca dignità e molta apparenza: per apparire si è disposti persino a svendersi e servire. É il degrado che crea uomini superbi senza orgoglio e uomini servizievoli senza umiltà.
La superbia è servile: non deve stupire chi, dopo avere conosciuto potere e ricchezza, quando va in rovina non ha nessuna difficoltà a strisciare.
Quando qualcuno si mostra gentile e umile, può succedere che la gente pensi che sia un debole, e ne approfitti per calpestarlo con prepotenza. Ma dopo un po', tutti si accorgeranno che il suo comportamento non é dettato da debolezza ma da una grande forza morale e spirituale.
I. Combattere la superbia liberando
LA GIOIA DI ESISTERE
(Lc 1, 46-55)
1. L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore. Maria esulta di gioia, di pienezza. Immaginate questa fanciulla di 15 anni che attraversa le montagne della Galilea per vedere il segno che Dio le aveva promesso. Immaginatela mentre entra nella casa di Elisabetta, la vede incinta come l’angelo le aveva detto e canta tutta la sua felicità.
Perché Maria è felice? Ce lo dice Lei stessa: Perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. E’ lo sguardo di Dio che le trasforma la vita; gli occhi del Padre si rivolgono alla sua piccolezza, la scelgono, la amano di un amore pieno e bello che sazia tutto il suo desiderio. E’ quello sguardo che fa felice Maria. Certo, anche il suo sì è importante, ma è un sì di risposta. All’origine, c’è lo sguardo di Dio, il suo invito, il suo favore, la predilezione, l’amore, la grazia.
E noi? La grande scoperta che ha la forza di cambiarci la vita è che Dio Padre ha posato il suo sguardo anche su di noi, proprio su ciascuno di noi. Noi siamo i suoi figli e le sue figlie, i figli e le figlie che Egli ama di un amore immenso e infinito. Questo sguardo del Padre costituisce la nostra più vera identità. Il non averlo incrociato, il non esserne consapevoli ci espone a turbamento, tentazione, sofferenza; ci porta a cercare sicurezza e felicità in ciò che facciamo, in ciò che abbiamo, in ciò che gli altri dicono di noi. Ci dimentichiamo di essere i figli prediletti del Padre e andiamo in cerca - fuori di casa, fuori di noi - delle carrube che mangiano i porci. A questo punto ci accorgiamo che non siamo felici; impariamo a nostre spese che il successo, la popolarità, il potere non sono in grado di darci la felicità. E vorremmo con tutto noi stessi poter incrociare lo sguardo del Padre come l’ha incrociato Maria.
u96; Mi domando: Sono felice? Dove poggia la mia felicità? Sono disposto a lasciarmi amare da Dio?.
2. Tornando al testo del Magnificat, mi è nata dentro una seconda domanda: Come ha potuto Maria incrociare con tanta facilità lo sguardo del Padre? Ci risponde ancora Lei, Maria: “Dio ha guardato l’umiltà della sua serva”. In greco è tapeinosis, bassezza, piccolezza; una bassezza che non proviene tanto dalla condizione sociale, che non sta nella vergogna di una situazione particolare, ma nella sua consapevolezza di essere creatura, nel presentarsi priva di ogni orgoglio, totalmente disponibile all’azione di Dio. Per questo Dio ha potuto incrociarne così facilmente lo sguardo: perché non ha trovato barriere, difese, superbia e presunzione, ma solo e incondizionatamente disponibilità, umiltà.
Cos’è l’umiltà? L’umiltà è una virtù sospetta; ci arriva così carica di devozionalismo che facciamo fatica a scorgerne il vero contenuto. Ma se grattiamo via le incrostazioni superficiali, ci accorgiamo di quanto decisiva ed essenziale essa sia per tutti noi. Umiltà, da humus, terra, è la coraggiosa conoscenza di sé davanti a Dio, il riconoscere la verità di stessi, l’accettare di essere creature, di appartenere alla terra, di essere limitati e destinati a morire, di avere impulsi sessuali, di dipendere da altre persone.
In quanto autentica conoscenza di sé, l’umiltà è una ferita portata al nostro narcisismo, al nostro orgoglio e alla nostra superbia. Essa fa cadere le impalcature traballanti che continuamente ci costruiamo per tentare di essere diversi da quello che siamo. Ci butta a terra perché solo quando siamo a terra diventiamo il terreno su cui la grazia può sviluppare la sua fecondità.
Non l’umiltà da sola, ma l’umiltà insieme allo sguardo d’amore di Dio possono operare in noi il miracolo della trasformazione, come è avvenuto in Maria. Il riconoscerci piccoli e poveri, il metterci inermi nelle mani di Dio e lasciarci amare da Lui, possono operare in noi il miracolo dell’Amore, renderci gravidi di vita e di gioia. Tutto di noi allora - la nostra vita, il nostro corpo, la nostra storia, anche i nostri fallimenti e le nostre ferite - potranno diventare creta nelle mani di Dio, un capolavoro come mai l’avremmo immaginato. In questa prospettiva, a volte certe esperienze di vita sono salutari per farci percepire la pochezza che siamo, condurci ad incrociare lo sguardo di Dio e aprirci in pienezza alla gioia di esistere (cf E. BIANCHI, Lessico della vita interiore, BUR, Milano 2004, pp. 187-190).
u96; Mi domando: So cos’è l’umiltà? C’è qualche esperienza che mi ha fatto toccare con mano i miei limiti? Ne ho approfittato per invocare Dio, per aprirmi alla grazia?
3. C’è un terzo passaggio che dobbiamo fare: Cosa cambia una volta che uno ha incrociato con cuore umile il suo sguardo con quello di Dio? Come si trasformerà la sua vita? Non c’è da aspettarsi niente di straordinario; i giornali non scriveranno nessun pezzo su di lui. Tuttavia egli imparerà ad andare in profondità delle cose; ogni istante, ogni frammento gli parlerà di Dio, ogni realtà gli comunicherà un raggio della sua luce. Quella pienezza di vita che tanto spasmodicamente cercava fuori di sé, zampillerà dal suo cuore ed egli si troverà a vivere con una gioia e un amore tali da fargli scoppiare il cuore. Del resto, Dio non ci ha creato per essere tristi e infelici, ma per essere innamorati, felici, ubriachi di vita. Non possiamo accontentarci di poco; dobbiamo desiderare tutto.
Sì, mi direte voi, ma c’è qualche segno che mi può dire se mi sono messo per questa strada? I segni ci sono: un nuovo rapporto d’amore con le persone, la possibilità di trasfigurare gli avvenimenti, l’attitudine ad andare al di là dell’apparenza per cogliere il positivo nascosto in tutte le cose, la speranza. Soprattutto la capacità di dire grazie. Si dice grazie quando il cuore sovrabbonda di pienezza. Il grazie è dunque la cartina di tornasole infallibile che misura la nostra gioia di esistere.
Maria, quando si è accorta di ciò che Dio aveva fatto in Lei, della vita di cui l’aveva ricolmata, non ha potuto non esplodere in un canto di grazie, il Magnificat. Questo è vero anche per la nostra vita. Il grazie a Dio e ai fratelli è il sigillo inconfondibile della nostra guarigione, il segno che siamo stati afferrati dalla gioia di esistere, che abbiamo sperimentato questa gioia, che siamo innamorati della vita.
u96; Mi domando: Desidero vivere in pienezza? So rendere grazie per la vita che ho ricevuto, per la storia che ho vissuto, per le persone che ho incontrato?
Riflessione di gruppo
Per questa riflessione si è partiti dalla lettura del documento qui riportato, giungendo infine all’affermazione di alcuni concetti importanti.
La Superbia è il primo dei vizi capitali. È però innanzi necessario non confondere il termine “vizio” con il termine “peccato”. Dalla classificazione operata da Papa Gregorio Magno si evince infatti che il “vizio” è la disposizione d’animo che inclina al male, mentre il “peccato” è l’atto volontario che la concretizza.
La Superbia si configura come Madre Regina di tutti i mali, come il PECCATO ORIGINALE di Adamo ed Eva; essa infatti rende false le nostre relazioni con gli altri e con Dio.
In contrapposizione a tale vizio troviamo la virtù dell’ UMILTA’. Gesù stesso nelle sue parole riprende spesso questo concetto, affermando che gli uomini sono un Uno ma differenti, cercando di far riscoprire in questa diversità una dimensione di parità e, di conseguenza, di umiltà.
Tuttavia, l’umiltà è difficile da vivere in una società come quella odierna in cui si è sempre richiamati ad essere i più forti; essa sembra infatti appartenere a un linguaggio anacronistico, che non fa tendenza.
E pur tuttavia, una tale disposizione d’animo potrebbe far riscoprire all’uomo la Verità, il rapporto con un Assoluto che è infinitamente più grande di noi.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 09:56:15
e modifiche.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te”.
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio” .
Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei.
Preghiera
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.
La superbia
il bisogno esagerato di riconoscimento..
Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento.
Origini psicologiche
La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, che è sempre teso alla ricerca e all'affermazione della sua identità. L'identità non è qualche cosa che si elabora al proprio interno, ma è qualche cosa che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri, da cui attende il riconoscimento.
Il bisogno di riconoscimento nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Origini "storiche"
A un certo punto della nostra Storia, il Comunismo ha affermato che gli uomini sono tutti uguali. Da una parte, il diffondersi di tali convinzioni è stato benefico al progresso: gli uomini hanno incominciato ad avere pari opportunità indipendentemente da razza, credo, estrazione sociale.
D'altra parte, tuttavia, una forma esasperata di uguaglianza, riconosciuta per diritto di nascita, ha prodotto quell'omogeinizzazione dell'umanità che toglie ad ogni uomo la lotta per il riconoscimento, favorendo di conseguenza l'esplosione della superbia.
Cosa si dice sulla superbia...
La simulazione dell'umiltà è peggiore della superbia. (Sant'Agostino)
La vita è una lunga lezione di umiltà. (J.M.Barrie)
I cimiteri sono pieni di persone insostituibili. (George Clemenceau)
La falsa modestia è forse il solo oratore che, parlando di se, cede volentieri la parola ad altri. (Abraham Dufresne)
Non ho pietà per i presuntuosi, perchè credo che portano con se il loro conforto. (George Eliot)
Si è orgogliosi quando si ha qualcosa da perdere e umili quando c'è qualcosa da guadagnarci. (Herny James)
Gli uomini, infatti, sono tutti diversi. É certamente giusto che abbiano pari opportunità, nondimeno ci tengono alla loro individualità e unicità. Se vivono in condizioni che non permettono di rivendicare il proprio valore personale, in una società in cui, per "statuto", sono tutti uguali, è più probabile che la superbia e la vanagloria possano trovare terreno fertile per svilupparsi.
Anche il Cristianesimo, male interpretato, è stato utilizzato per affermare che gli uomini sono tutti uguali. In effetti il messaggio del Vangelo era un altro: Gesù affermava infatti che "gli uomini sono un Uno", non che sono tutti uguali, e la parabola dei Talenti ne è una dimostrazione…
Al contrario, in una società in cui vengono apprezzate le differenze, le persone possono essere orgogliose, nella accezione positiva del termine. L'orgoglio sano è quello che ci porta a difendere la nostra dignità di esseri umani, a rifiutare compromessi, a non farci calpestare, e ad essere soddisfatti di noi stessi quando ci realizziamo.
Nulla di buono potremmo fare senza una adeguata stima di noi, stima che dipende dalla consapevolezza delle nostre doti e dei nostri limiti. Ma quando l'orgoglio travalica, si trasforma in vanità, boria, e superbia.
Il comportamento del superbo
Di solito la persona superba si conosce poco; é talmente infatuata di se stessa che ogni tentativo di renderla più consapevole si rivela inutile. Non vuole intendere ragione, non tollera alcuna contraddizione e gli piace la compagnia degli adulatori.
La superbia fa sì che l'uomo si opponga ad ogni trasformazione interiore; fa tutto il possibile perché l'uomo non veda ciò che c'è di buono nell'altro, non perdoni, non esprima i suoi sentimenti e le sue emozioni, non sia autentico, non cerchi di fare qualche cosa per la sua crescita personale.
Le soluzioni per correggere la superbia
Correttivo della superbia è l'umiltà, ma non quella che coincide con la diminuzione di sé fino al limite dell'autodenigrazione. Piuttosto, quell'umiltà che frena l'impulso ad ignorare i propri limiti e perseguire mete che non sono alla propria portata.
La consapevolezza dei propri limiti concede ad ognuno di essere orgoglioso di sé senza doversi sottomettere ad un altro per umiltà, perché in questo caso non di umiltà si tratterebbe, ma di umiliazione.
Le relazioni con gli altri peccati capitali
La superbia è sottilmente imparentata con l'invidia, poiché il superbo, se da un lato tende a superare gli altri, quando a sua volta è superato non si rassegna, e l'effetto di questa non rassegnazione è l'invidia.
Al pari dell'invidia, anche la superbia ha un carattere "relazionale" nel senso che nessuno si insuperbisce in solitudine, ma sempre in relazione agli altri, di cui ha un assoluto bisogno per poter esprimere nei loro confronti la sua superiorità.
Conclusione
Nella nostra cultura c'è poco orgoglio e molta superbia, poca dignità e molta apparenza: per apparire si è disposti persino a svendersi e servire. É il degrado che crea uomini superbi senza orgoglio e uomini servizievoli senza umiltà.
La superbia è servile: non deve stupire chi, dopo avere conosciuto potere e ricchezza, quando va in rovina non ha nessuna difficoltà a strisciare.
Quando qualcuno si mostra gentile e umile, può succedere che la gente pensi che sia un debole, e ne approfitti per calpestarlo con prepotenza. Ma dopo un po', tutti si accorgeranno che il suo comportamento non é dettato da debolezza ma da una grande forza morale e spirituale.
I. Combattere la superbia liberando
LA GIOIA DI ESISTERE
(Lc 1, 46-55)
1. L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore. Maria esulta di gioia, di pienezza. Immaginate questa fanciulla di 15 anni che attraversa le montagne della Galilea per vedere il segno che Dio le aveva promesso. Immaginatela mentre entra nella casa di Elisabetta, la vede incinta come l’angelo le aveva detto e canta tutta la sua felicità.
Perché Maria è felice? Ce lo dice Lei stessa: Perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. E’ lo sguardo di Dio che le trasforma la vita; gli occhi del Padre si rivolgono alla sua piccolezza, la scelgono, la amano di un amore pieno e bello che sazia tutto il suo desiderio. E’ quello sguardo che fa felice Maria. Certo, anche il suo sì è importante, ma è un sì di risposta. All’origine, c’è lo sguardo di Dio, il suo invito, il suo favore, la predilezione, l’amore, la grazia.
E noi? La grande scoperta che ha la forza di cambiarci la vita è che Dio Padre ha posato il suo sguardo anche su di noi, proprio su ciascuno di noi. Noi siamo i suoi figli e le sue figlie, i figli e le figlie che Egli ama di un amore immenso e infinito. Questo sguardo del Padre costituisce la nostra più vera identità. Il non averlo incrociato, il non esserne consapevoli ci espone a turbamento, tentazione, sofferenza; ci porta a cercare sicurezza e felicità in ciò che facciamo, in ciò che abbiamo, in ciò che gli altri dicono di noi. Ci dimentichiamo di essere i figli prediletti del Padre e andiamo in cerca - fuori di casa, fuori di noi - delle carrube che mangiano i porci. A questo punto ci accorgiamo che non siamo felici; impariamo a nostre spese che il successo, la popolarità, il potere non sono in grado di darci la felicità. E vorremmo con tutto noi stessi poter incrociare lo sguardo del Padre come l’ha incrociato Maria.
u96; Mi domando: Sono felice? Dove poggia la mia felicità? Sono disposto a lasciarmi amare da Dio?.
2. Tornando al testo del Magnificat, mi è nata dentro una seconda domanda: Come ha potuto Maria incrociare con tanta facilità lo sguardo del Padre? Ci risponde ancora Lei, Maria: “Dio ha guardato l’umiltà della sua serva”. In greco è tapeinosis, bassezza, piccolezza; una bassezza che non proviene tanto dalla condizione sociale, che non sta nella vergogna di una situazione particolare, ma nella sua consapevolezza di essere creatura, nel presentarsi priva di ogni orgoglio, totalmente disponibile all’azione di Dio. Per questo Dio ha potuto incrociarne così facilmente lo sguardo: perché non ha trovato barriere, difese, superbia e presunzione, ma solo e incondizionatamente disponibilità, umiltà.
Cos’è l’umiltà? L’umiltà è una virtù sospetta; ci arriva così carica di devozionalismo che facciamo fatica a scorgerne il vero contenuto. Ma se grattiamo via le incrostazioni superficiali, ci accorgiamo di quanto decisiva ed essenziale essa sia per tutti noi. Umiltà, da humus, terra, è la coraggiosa conoscenza di sé davanti a Dio, il riconoscere la verità di stessi, l’accettare di essere creature, di appartenere alla terra, di essere limitati e destinati a morire, di avere impulsi sessuali, di dipendere da altre persone.
In quanto autentica conoscenza di sé, l’umiltà è una ferita portata al nostro narcisismo, al nostro orgoglio e alla nostra superbia. Essa fa cadere le impalcature traballanti che continuamente ci costruiamo per tentare di essere diversi da quello che siamo. Ci butta a terra perché solo quando siamo a terra diventiamo il terreno su cui la grazia può sviluppare la sua fecondità.
Non l’umiltà da sola, ma l’umiltà insieme allo sguardo d’amore di Dio possono operare in noi il miracolo della trasformazione, come è avvenuto in Maria. Il riconoscerci piccoli e poveri, il metterci inermi nelle mani di Dio e lasciarci amare da Lui, possono operare in noi il miracolo dell’Amore, renderci gravidi di vita e di gioia. Tutto di noi allora - la nostra vita, il nostro corpo, la nostra storia, anche i nostri fallimenti e le nostre ferite - potranno diventare creta nelle mani di Dio, un capolavoro come mai l’avremmo immaginato. In questa prospettiva, a volte certe esperienze di vita sono salutari per farci percepire la pochezza che siamo, condurci ad incrociare lo sguardo di Dio e aprirci in pienezza alla gioia di esistere (cf E. BIANCHI, Lessico della vita interiore, BUR, Milano 2004, pp. 187-190).
u96; Mi domando: So cos’è l’umiltà? C’è qualche esperienza che mi ha fatto toccare con mano i miei limiti? Ne ho approfittato per invocare Dio, per aprirmi alla grazia?
3. C’è un terzo passaggio che dobbiamo fare: Cosa cambia una volta che uno ha incrociato con cuore umile il suo sguardo con quello di Dio? Come si trasformerà la sua vita? Non c’è da aspettarsi niente di straordinario; i giornali non scriveranno nessun pezzo su di lui. Tuttavia egli imparerà ad andare in profondità delle cose; ogni istante, ogni frammento gli parlerà di Dio, ogni realtà gli comunicherà un raggio della sua luce. Quella pienezza di vita che tanto spasmodicamente cercava fuori di sé, zampillerà dal suo cuore ed egli si troverà a vivere con una gioia e un amore tali da fargli scoppiare il cuore. Del resto, Dio non ci ha creato per essere tristi e infelici, ma per essere innamorati, felici, ubriachi di vita. Non possiamo accontentarci di poco; dobbiamo desiderare tutto.
Sì, mi direte voi, ma c’è qualche segno che mi può dire se mi sono messo per questa strada? I segni ci sono: un nuovo rapporto d’amore con le persone, la possibilità di trasfigurare gli avvenimenti, l’attitudine ad andare al di là dell’apparenza per cogliere il positivo nascosto in tutte le cose, la speranza. Soprattutto la capacità di dire grazie. Si dice grazie quando il cuore sovrabbonda di pienezza. Il grazie è dunque la cartina di tornasole infallibile che misura la nostra gioia di esistere.
Maria, quando si è accorta di ciò che Dio aveva fatto in Lei, della vita di cui l’aveva ricolmata, non ha potuto non esplodere in un canto di grazie, il Magnificat. Questo è vero anche per la nostra vita. Il grazie a Dio e ai fratelli è il sigillo inconfondibile della nostra guarigione, il segno che siamo stati afferrati dalla gioia di esistere, che abbiamo sperimentato questa gioia, che siamo innamorati della vita.
u96; Mi domando: Desidero vivere in pienezza? So rendere grazie per la vita che ho ricevuto, per la storia che ho vissuto, per le persone che ho incontrato?
Riflessione di gruppo
Per questa riflessione si è partiti dalla lettura del documento qui riportato, giungendo infine all’affermazione di alcuni concetti importanti.
La Superbia è il primo dei vizi capitali. È però innanzi necessario non confondere il termine “vizio” con il termine “peccato”. Dalla classificazione operata da Papa Gregorio Magno si evince infatti che il “vizio” è la disposizione d’animo che inclina al male, mentre il “peccato” è l’atto volontario che la concretizza.
La Superbia si configura come Madre Regina di tutti i mali, come il PECCATO ORIGINALE di Adamo ed Eva; essa infatti rende false le nostre relazioni con gli altri e con Dio.
In contrapposizione a tale vizio troviamo la virtù dell’ UMILTA’. Gesù stesso nelle sue parole riprende spesso questo concetto, affermando che gli uomini sono un Uno ma differenti, cercando di far riscoprire in questa diversità una dimensione di parità e, di conseguenza, di umiltà.
Tuttavia, l’umiltà è difficile da vivere in una società come quella odierna in cui si è sempre richiamati ad essere i più forti; essa sembra infatti appartenere a un linguaggio anacronistico, che non fa tendenza.
E pur tuttavia, una tale disposizione d’animo potrebbe far riscoprire all’uomo la Verità, il rapporto con un Assoluto che è infinitamente più grande di noi.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 09:56:15
e modifiche.