Introduzione alle novità proposte dal Concilio Vaticano II - ospite il prof. Marco Vergottini
“Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrirgli sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”
Lettera di Pietro, cap. 2
“Quando, il 25 gennaio 1959, l’allora papa Giovanni XXIII pronunciò nella basilica di san Paolo fuori le mura l’allocuzione con la quale annunciava il Sinodo romano, il Concilio ecumenico e l’aggiornamento del codice di diritto canonico, la proposta venne accolta con un certo stupore da parte della curia romana” spiega il professor Marco Vergottini, docente della facoltà teologica di Milano.
“L’ultimo Concilio della storia della Chiesa, il Vaticano I, si tenne dal 1868 al 1870 durante il pontificato di Pio IX, il cui obiettivo principale fu quello di sancire definitivamente il dogma dell’infallibilità del magistero del papa in materia di fede e morale. Fino a quel momento, infatti, nel corso dei molti sinodi si era sempre proceduto quasi esclusivamente alla sanzione di dogmi o alla condanna dei fenomeni più diversi (quali eresie, scismi, correnti iconoclastiche, etc.). Il Concilio vaticano II” continua Vergottini “rappresentò dunque un’importante novità per tutti i membri del clero, in quanto si poneva invece come fine principe l’aggiornamento e il rinnovamento della liturgia e, più in generale, della forma di comunicazione che la Chiesa stessa avrebbe dovuto adottare per andare incontro ai suoi fedeli del mondo moderno.
Furono necessari tre anni di intensa preparazione, durante i quali una commissione esperta della curia preparò ben settanta documenti da presentare e far votare ai vari cardinali all’inizio del Concilio.
Finalmente, l’11 ottobre 1962, con la proclamazione del Gaudet mater ecclesia davanti a più di duemila cardinali, papa Roncalli decretò la solenne apertura dei lavori conciliari.
I problemi e gli argomenti di discussione che gravavano sull’incontro ecumenico del secolo erano molteplici e di notevole importanza.
Si proponeva innanzi tutto una completa revisione dell’aspetto chiaramente gerarchico e del ruolo temporale di cui la Chiesa si era rivestita ormai da molti secoli; da qui, una riflessione sul comportamento più opportuno da adottare per far fronte a una crisi religiosa sempre più sentita e alla situazione mondiale, in particolare la presenza delle due superpotenze sempre più influenti, verso cui il mondo e la Chiesa stessa non potevano più permettersi di rimanere indifferenti: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Non si trattava dunque di cambiare il contenuto evangelico da trasmettere” precisa Vergottini, “bensì di rinnovare la modalità attraverso cui poter trasmettere la Buona Notizia a un mondo in continuo cambiamento sociale, ideologico, politico e culturale.
Dei settanta documenti stilati dalla Curia romana uno solo venne approvato e promulgato il 4 dicembre 1963: il Sacrosantum Concilium.
In questa costituzione viene preso in esame, in modo particolare, l’aspetto liturgico della fede cristiana: la liturgia viene vista come fons et culmen della vita di ogni fedele, e proprio a partire da tale motivazione viene sollecitata da parte del cristiano un’actuosa partecipatio. L’assemblea dei credenti riuniti a pregare si configura quindi come co-protagonista assieme al sacerdote che presiede nella celebrazione dell’eucaristia e questa, unita alla decisione di preferire per la celebrazione la lingua vernacolare al latino costituì un’importante quanto sconvolgente novità per l’intero mondo cattolico.
Occorre ricordare a questo proposito la corrente guidata dal vescovo francese Lefebvre, il quale si oppose senza riserve a questo spirito di rinnovamento rivendicando il diritto di celebrare l’eucaristia nella lingua latina originale. Dopo molti anni di diatribe nella Curia, papa Giovanni Paolo II acconsentì, ma impose di osservare il rito latino modificato, nel quale non venivano più accusati gli ebrei come ‘assassini di Cristo’.
La seconda costituzione approvata dai padri conciliari il 21 novembre 1964 fu la Lumen gentium”, continua Vergottini.
“Come già anticipato, fino a quel momento la Chiesa si presentava agli occhi del mondo soprattutto come una struttura gerarchizzata, in cui la rilevanza data al ruolo del fedele era pressoché nulla. Tra le molteplici affermazioni di questo documento, invece, viene riconosciuta in modo chiaro e inequivocabile l’importanza che ogni cristiano riveste all’interno della comunità”.
Citando le parole di Severino Dianich (attualmente Vicario Episcopale per la Pastorale della Cultura e dell’Università nella Diocesi e nell’Università di Pisa), ‘da questa impostazione deriva la convinzione che prima che una struttura gerarchica la Chiesa è il popolo di Dio, l’insieme del corpo cristiano. Tutti i fedeli, quindi, sono protagonisti responsabili della sua missione. Il ministero dei vescovi, coadiuvati dai preti e dai diaconi, non esaurisce l’operosità ecclesiale, ma si pone al servizio dei fedeli e li guida nella missione verso il mondo. L’abbandono di uno schema verticista e discendente coinvolge anche il rapporto dei vescovi con il papa. Per il Vaticano II essi non sono dei delegati del papa, ma pastori della Chiesa, ciascuno della sua comunità particolare e, collegialmente uniti al papa, della Chiesa universale in forza del sacramento dell’ordine, e quindi per grazia e carisma donati da Dio’.
“La costituzione Dei Verbum” aggiunge Vergottini, “vide la luce il 18 novembre 1965. L’obbiettivo centrale di questo terzo documento assembleare fu la definizione del concetto di rivelazione, argomento fin troppo spesso oggetto di diatribe all’interno del mondo ecclesiale, e non solo. L’approccio che la Chiesa presenta in merito a tale argomento è del tutto nuovo; non si tratta più di una verità rivelata, bensì di una persona. La Rivelazione viene dunque vista come l’auto comunicazione di Dio in Gesù Cristo, e per questo motivo la fede stessa diviene sinonimo di incontro, relazione, dialogo e sequela. Nel sesto capitolo di questa costituzione, inoltre, si afferma il diritto inviolabile di ogni fedele ad avere libero accesso al testo sacro, nel suo percorso di crescita spirituale alla ricerca del senso più profondo della vita.
L’ ultimo documento approvato dai padri conciliari il 7 dicembre 1965 fu la Gaudium et spes”.
Richiamando nuovamente le parole di mons. Severino Dianich, “La costituzione Gaudium et spes è, nel senso letterale della parola, l’imprevisto del concilio Vaticano II. Nessuno prima ci aveva pensato, né le commissioni preparatorie avevano approntato una qualche proposta sul rapporto della Chiesa con il mondo moderno. Eppure, a rileggere il discorso di inaugurazione di Giovanni XXIII, sembra che proprio per questo il Concilio sia stato radunato, per superare la situazione di un plurisecolare conflitto della Chiesa con la cultura e la società moderna, per aprire strade di dialogo, in modo tale che il messaggio cristiano possa trovare più facilmente porte aperte, se non per accoglierlo nella fede, almeno per ascoltarlo e trarne un qualche beneficio. Il conflitto si era fatto drammatico soprattutto con la rivoluzione francese e il progressivo abbattimento di tutto un sistema, nel quale la Chiesa e il suo magistero costituivano l’istanza suprema della fede di tutta una società, della pubblica moralità, della legislazione e del costume. Il sorgere della democrazia, con il riconoscimento delle libertà moderne (la libertà di pensiero, di stampa, di religione, riconosciute a tutti) era sembrata alla Chiesa una sciagura: ne derivava infatti la fine di quella compattezza del vivere civile intorno ad un’unica fede e un’unica morale. Ebbene, la Gaudium et spes ricolloca la Chiesa serenamente all’interno del vivere sociale determinato dalla cultura della modernità, non rinunciando alla proclamazione di ciò che è vero e giusto né alla contestazione delle devianze e dei mali del mondo, ma riconoscendo che solo nella libertà essa può svolgere degnamente la missione che il Signore le ha affidato’.
Il Concilio Vaticano II si concluse l’8 dicembre 1965, dopo cinque anni di lavoro intenso da parte dei padri conciliari con l’elezione a pontefice dell’allora cardinale Giovanni Battista Montini, col nome di Paolo VI.
Ai fedeli e al mondo intero fu consegnata l’immagine di una Chiesa diversa e rinnovata, consapevole dei suoi limiti e degli errori, ma desiderosa di incontrare di nuovo, seguendo l’insegnamento del Vangelo, i volti e i pensieri delle persone.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 10:22:29
“Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrirgli sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”
Lettera di Pietro, cap. 2
“Quando, il 25 gennaio 1959, l’allora papa Giovanni XXIII pronunciò nella basilica di san Paolo fuori le mura l’allocuzione con la quale annunciava il Sinodo romano, il Concilio ecumenico e l’aggiornamento del codice di diritto canonico, la proposta venne accolta con un certo stupore da parte della curia romana” spiega il professor Marco Vergottini, docente della facoltà teologica di Milano.
“L’ultimo Concilio della storia della Chiesa, il Vaticano I, si tenne dal 1868 al 1870 durante il pontificato di Pio IX, il cui obiettivo principale fu quello di sancire definitivamente il dogma dell’infallibilità del magistero del papa in materia di fede e morale. Fino a quel momento, infatti, nel corso dei molti sinodi si era sempre proceduto quasi esclusivamente alla sanzione di dogmi o alla condanna dei fenomeni più diversi (quali eresie, scismi, correnti iconoclastiche, etc.). Il Concilio vaticano II” continua Vergottini “rappresentò dunque un’importante novità per tutti i membri del clero, in quanto si poneva invece come fine principe l’aggiornamento e il rinnovamento della liturgia e, più in generale, della forma di comunicazione che la Chiesa stessa avrebbe dovuto adottare per andare incontro ai suoi fedeli del mondo moderno.
Furono necessari tre anni di intensa preparazione, durante i quali una commissione esperta della curia preparò ben settanta documenti da presentare e far votare ai vari cardinali all’inizio del Concilio.
Finalmente, l’11 ottobre 1962, con la proclamazione del Gaudet mater ecclesia davanti a più di duemila cardinali, papa Roncalli decretò la solenne apertura dei lavori conciliari.
I problemi e gli argomenti di discussione che gravavano sull’incontro ecumenico del secolo erano molteplici e di notevole importanza.
Si proponeva innanzi tutto una completa revisione dell’aspetto chiaramente gerarchico e del ruolo temporale di cui la Chiesa si era rivestita ormai da molti secoli; da qui, una riflessione sul comportamento più opportuno da adottare per far fronte a una crisi religiosa sempre più sentita e alla situazione mondiale, in particolare la presenza delle due superpotenze sempre più influenti, verso cui il mondo e la Chiesa stessa non potevano più permettersi di rimanere indifferenti: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Non si trattava dunque di cambiare il contenuto evangelico da trasmettere” precisa Vergottini, “bensì di rinnovare la modalità attraverso cui poter trasmettere la Buona Notizia a un mondo in continuo cambiamento sociale, ideologico, politico e culturale.
Dei settanta documenti stilati dalla Curia romana uno solo venne approvato e promulgato il 4 dicembre 1963: il Sacrosantum Concilium.
In questa costituzione viene preso in esame, in modo particolare, l’aspetto liturgico della fede cristiana: la liturgia viene vista come fons et culmen della vita di ogni fedele, e proprio a partire da tale motivazione viene sollecitata da parte del cristiano un’actuosa partecipatio. L’assemblea dei credenti riuniti a pregare si configura quindi come co-protagonista assieme al sacerdote che presiede nella celebrazione dell’eucaristia e questa, unita alla decisione di preferire per la celebrazione la lingua vernacolare al latino costituì un’importante quanto sconvolgente novità per l’intero mondo cattolico.
Occorre ricordare a questo proposito la corrente guidata dal vescovo francese Lefebvre, il quale si oppose senza riserve a questo spirito di rinnovamento rivendicando il diritto di celebrare l’eucaristia nella lingua latina originale. Dopo molti anni di diatribe nella Curia, papa Giovanni Paolo II acconsentì, ma impose di osservare il rito latino modificato, nel quale non venivano più accusati gli ebrei come ‘assassini di Cristo’.
La seconda costituzione approvata dai padri conciliari il 21 novembre 1964 fu la Lumen gentium”, continua Vergottini.
“Come già anticipato, fino a quel momento la Chiesa si presentava agli occhi del mondo soprattutto come una struttura gerarchizzata, in cui la rilevanza data al ruolo del fedele era pressoché nulla. Tra le molteplici affermazioni di questo documento, invece, viene riconosciuta in modo chiaro e inequivocabile l’importanza che ogni cristiano riveste all’interno della comunità”.
Citando le parole di Severino Dianich (attualmente Vicario Episcopale per la Pastorale della Cultura e dell’Università nella Diocesi e nell’Università di Pisa), ‘da questa impostazione deriva la convinzione che prima che una struttura gerarchica la Chiesa è il popolo di Dio, l’insieme del corpo cristiano. Tutti i fedeli, quindi, sono protagonisti responsabili della sua missione. Il ministero dei vescovi, coadiuvati dai preti e dai diaconi, non esaurisce l’operosità ecclesiale, ma si pone al servizio dei fedeli e li guida nella missione verso il mondo. L’abbandono di uno schema verticista e discendente coinvolge anche il rapporto dei vescovi con il papa. Per il Vaticano II essi non sono dei delegati del papa, ma pastori della Chiesa, ciascuno della sua comunità particolare e, collegialmente uniti al papa, della Chiesa universale in forza del sacramento dell’ordine, e quindi per grazia e carisma donati da Dio’.
“La costituzione Dei Verbum” aggiunge Vergottini, “vide la luce il 18 novembre 1965. L’obbiettivo centrale di questo terzo documento assembleare fu la definizione del concetto di rivelazione, argomento fin troppo spesso oggetto di diatribe all’interno del mondo ecclesiale, e non solo. L’approccio che la Chiesa presenta in merito a tale argomento è del tutto nuovo; non si tratta più di una verità rivelata, bensì di una persona. La Rivelazione viene dunque vista come l’auto comunicazione di Dio in Gesù Cristo, e per questo motivo la fede stessa diviene sinonimo di incontro, relazione, dialogo e sequela. Nel sesto capitolo di questa costituzione, inoltre, si afferma il diritto inviolabile di ogni fedele ad avere libero accesso al testo sacro, nel suo percorso di crescita spirituale alla ricerca del senso più profondo della vita.
L’ ultimo documento approvato dai padri conciliari il 7 dicembre 1965 fu la Gaudium et spes”.
Richiamando nuovamente le parole di mons. Severino Dianich, “La costituzione Gaudium et spes è, nel senso letterale della parola, l’imprevisto del concilio Vaticano II. Nessuno prima ci aveva pensato, né le commissioni preparatorie avevano approntato una qualche proposta sul rapporto della Chiesa con il mondo moderno. Eppure, a rileggere il discorso di inaugurazione di Giovanni XXIII, sembra che proprio per questo il Concilio sia stato radunato, per superare la situazione di un plurisecolare conflitto della Chiesa con la cultura e la società moderna, per aprire strade di dialogo, in modo tale che il messaggio cristiano possa trovare più facilmente porte aperte, se non per accoglierlo nella fede, almeno per ascoltarlo e trarne un qualche beneficio. Il conflitto si era fatto drammatico soprattutto con la rivoluzione francese e il progressivo abbattimento di tutto un sistema, nel quale la Chiesa e il suo magistero costituivano l’istanza suprema della fede di tutta una società, della pubblica moralità, della legislazione e del costume. Il sorgere della democrazia, con il riconoscimento delle libertà moderne (la libertà di pensiero, di stampa, di religione, riconosciute a tutti) era sembrata alla Chiesa una sciagura: ne derivava infatti la fine di quella compattezza del vivere civile intorno ad un’unica fede e un’unica morale. Ebbene, la Gaudium et spes ricolloca la Chiesa serenamente all’interno del vivere sociale determinato dalla cultura della modernità, non rinunciando alla proclamazione di ciò che è vero e giusto né alla contestazione delle devianze e dei mali del mondo, ma riconoscendo che solo nella libertà essa può svolgere degnamente la missione che il Signore le ha affidato’.
Il Concilio Vaticano II si concluse l’8 dicembre 1965, dopo cinque anni di lavoro intenso da parte dei padri conciliari con l’elezione a pontefice dell’allora cardinale Giovanni Battista Montini, col nome di Paolo VI.
Ai fedeli e al mondo intero fu consegnata l’immagine di una Chiesa diversa e rinnovata, consapevole dei suoi limiti e degli errori, ma desiderosa di incontrare di nuovo, seguendo l’insegnamento del Vangelo, i volti e i pensieri delle persone.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 10:22:29