Fai clic qui per effettuare modifiche.Testimonianza di Giulio Osto seminarista di quinto annoScuola di Preghiera - 8 novembre 2004
Ciao a tutti! Sono Giulio, ho 23 anni. Sono di Cave, una parrocchia della periferia di Padova e frequento il Quinto Anno del Seminario Maggiore.
Combattere la superbia liberando…la gioia di esistere: questo cammino mi interpella tutti i giorni e lo sento molto presente nella mia vita. Provo a raccontarvelo un po'… comincio dalla superbia: un «meccanismo» che mi trovo a vivere in varie situazioni.
Guardando alla mia vita, mi sento una persona autonoma, che si dà da fare, sempre protagonista delle situazioni, impegnata, responsabile, che sa arrangiarsi… e io sono proprio così! La "voglia di fare" non mi manca di certo, anzi è sempre una bella sfida immergermi in qualsiasi tipo di impegno. Mi piace ritrovarmi la sera, magari molto stanco, ma con una carica addosso che mi fa sentire quasi il padrone del mondo. In quei momenti mi dico: "Guarda quante cose ho fatto!". Inoltre una cosa che mi piace fare è mettere la mia firma dove posso, nelle cose che ho fatto io. Le giornate che vivo così mi danno una certa gioia, ma in alcuni momenti, mi accorgo di una profonda verità e mi sussurro: "So fare tante cose, non perdo un minuto di tempo, ma in fondo non sono veramente contento!. Anzi, questa gioia che a fatica ottengo è molto precaria, instabile, un difficilissimo prodotto che ottengo con tanti sforzi che possono rivelarsi anche completamente inutili”.
A volte non sono felice perché le cose non vanno come vorrei io. Mi accorgo che di solito mi prefiggo degli obiettivi per provare poi la soddisfazione di raggiungerli. In questo modo mi sento qualcuno, provo una certa gioia ad esistere in questo mondo. Posso dire a me stesso: "Guarda che bravo che sono!".
Ma quando non sono contento i miei occhi sono molto attenti agli altri, anche perché li vedo, in quei momenti, felici come io non sono. Allora la ricerca della gioia diventa per me proprio una gara e a forza di giocare tutte le carte che possiedo, ne conquisto un po' e posso tirare un sospiro di sollievo dicendomi che, in fin dei conti, anch'io so essere contento!
Pensando ancora al mio rapporto con le altre persone mi accorgo di essere spesso un giudice spietato nei loro confronti. So fare di esse una perfetta radiografia in base ai miei gusti e criteri. A volte nei confronti di qualche persona provo un certo disprezzo perché dentro di me penso: "Io sono migliore, me la cavo molto meglio". Inoltre quando incontro delle persone veramente "in gamba" faccio fatica a godere della loro ricchezza, a ringraziare il Signore per le capacità, i traguardi, i doni che riescono a trasmettere. Trovare persone così può essere per me una vera sfida, perché ho qualcuno da superare, che prende il posto che vorrei occupare io.
Andando in profondità mi rendo conto che essere superbo per me significa non accettarmi ed amarmi per quello che sono così come sono. E quando vivo con questa amarezza, se da una parte mi rendo conto che le capacità e i doni che possiedo sono una grande risorsa per vivere bene, i limiti che incontro diventano un ostacolo insormontabile, addirittura un'ingiustizia, un castigo e, pensando così, certo Dio non fa bella figura, perché, secondo me, poteva sicuramente crearmi meglio! Proprio per questo allora sta a me, povera creatura, sistemare quello che il Creatore non ha fatto, secondo me, alla perfezione e così l'intraprendenza, il protagonismo, l'affermazione di me stesso, il grande e autentico desiderio di esistere diventano semplicemente la continua espressione di questa "non accettazione" della mia condizione reale, che voglio assolutamente cambiare a modo mio.
Se mi ritrovo spesso, in queste e altre situazioni, bloccato nella trappola della superbia, allo stesso tempo vorrei testimoniarvi che Dio continua ad agire nella mia vita e l'esperienza di fede è per me un vero cammino di liberazione e impegno.
Quando mi riconosco una povera creatura, con delle risorse e con dei limiti, mi sembra di entrare in un vicolo cieco se la mia libertà è ferita dal sospetto di un Dio prevaricatore, oppure di un Dio che mi è nemico, che credo non voglia la mia gioia, anzi desideri rendermi schiavo… ma scoprirmi umile creatura, nella fede, nell'abbandono a un Dio che mi ama così come sono è la strada che mi porta alla sapienza, alla gioia di esistere cioè al gusto di essere e di esserci.
Ci sono alcuni momenti luminosi della mia vita nei quali ho vissuto e vivo in modo profondo e totale questa gioia. Questi momenti sono per me in modo assoluto dei "puri doni" perché sconvolgono completamente il mio modo "viziato" di vivere. La gioia che ho vissuto e vivo è inaspettata, inedita, quasi totalmente indipendente da me, non prodotta con i miei sforzi, ma una gioia accolta, ricevuta in dono. Mi accorgo che la superbia è un vizio soprattutto di "pensiero" più che di "sentimento" essendo un modo distorto di accostarsi alla vita. Per me è facile correre questo rischio perché mi piace riflettere, pensare, studiare, analizzare ogni cosa. Proprio per questo, nella mia vita, un dono immenso sono alcune esperienze travolgenti perché coinvolgono tutta la mia persona non solo la razionalità. Da più di un anno, ad esempio, mi trovo spesso a piangere dalla gioia e le lacrime nascono spontanee dal profondo del mio cuore per l'incontro e l'esperienza di un amore autentico, una benevolenza sconfinata e una stima incondizionata nei miei confronti da parte di alcune persone che, tra l'altro, non sono andato a cercare, ma il Signore ha posto sul mio cammino, come ad esempio il parroco della parrocchia dove presto servizio pastorale al sabato e alla domenica.
Un altro dono così, soprattutto attraverso la confessione, è per me l'esperienza del perdono, che non è certo un prodotto dei miei sforzi o delle mie capacità di essere integerrimo, anzi è una testimonianza che "la misericordia di Dio si stende di generazione in generazione su coloro che lo temono". Custodisco sempre nel cuore la gioia di una riconciliazione avvenuta come sorgente alla quale attingere l'autentico desiderio di esistere iscritto nel mio essere.
Una strada per smascherare la superbia è per me quella di mettermi con umiltà alla presenza del Signore, riconoscendo il suo vero volto, che magari smarrisco tra tanti pensieri e preoccupazioni. Quando sono molto soddisfatto di qualcosa che sono riuscito a fare mi sento quasi il padrone del mondo, ma sono anche profondamente solo. Mi rendo conto che tutto dipende da me e finisce con me e quella particolare soddisfazione che provo sembra quasi implodere, annegare e disperdersi nel mio cuore che rimane poi vuoto. Dio "disperde i superbi nei pensieri del loro cuore", e anch’io mi trovo disperso proprio perché solo. Ma mettendomi alla presenza del Signore con umiltà, posso incontrare il volto di Cristo che mi è compagno di viaggio, fratello e amico nel cammino, che condivide con me la vita! Con un Signore così, la mia fede non può che essere un Magnificat a Dio Padre insieme a Gesù. La mia anima allora comincia ad esultare proprio in Dio, non contro di Lui o proprio perché c'è l'ho fatta senza di Lui! Infatti per me la preghiera spesso è un "tempo di memoria", non di nostalgia, ma di ri-conoscimento, di ri-cordo delle "grandi cose che Dio ha fatto" attraverso di me, non che ho raggiunto io da solo! La preghiera, esprimendo la mia fiducia in Dio, diventa per me la strada per imparare l'umiltà riconoscendo che è Dio il Creatore che continua ad agire nella mia storia. La superbia ferisce questa mia fiducia nell'Amore Infinito di Dio che la preghiera invece mi porta a scoprire ogni volta come una promessa per sempre nei miei confronti.
Combattere la superbia, in fine, per me è passare dal lamento, dall'insoddisfazione, alla gratitudine. Quando sono un giudice spietato di me stesso, delle cose, degli altri, di tutto, i miei occhi non vedono la vera realtà, ma la incontrano filtrata da una pretesa di assolutezza e di potere che però non è autentica. Ma, cosa dire di fronte a un dono? Quali meriti attribuirsi quando la vita supera e travolge le tue misere aspettative? Come essere solo autoreferenziali quando la gioia è frutto di relazione e la tua parte è la minima e la più insignificante? Quando vivo così, sento solo una parola legittima e totalmente vera: GRAZIE! E ricordo che alcuni anni fa, dopo un'estate affollatissima di attività, prima di cominciare la scuola, rendendomi conto della grandezza e della bellezza di ciò che avevo vissuto ho preso un oggetto che si riferisse a ciascuna delle cose fatte e sul piazzale di casa ho composto la parola GRAZIE che poi ho fotografato dal terrazzo. Avevo fatto proprio come Maria: quello era il mio Magnificat e auguro anche a te di riuscire a comporlo spesso per cantare la tua gioia!
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 09:56:34
Ciao a tutti! Sono Giulio, ho 23 anni. Sono di Cave, una parrocchia della periferia di Padova e frequento il Quinto Anno del Seminario Maggiore.
Combattere la superbia liberando…la gioia di esistere: questo cammino mi interpella tutti i giorni e lo sento molto presente nella mia vita. Provo a raccontarvelo un po'… comincio dalla superbia: un «meccanismo» che mi trovo a vivere in varie situazioni.
Guardando alla mia vita, mi sento una persona autonoma, che si dà da fare, sempre protagonista delle situazioni, impegnata, responsabile, che sa arrangiarsi… e io sono proprio così! La "voglia di fare" non mi manca di certo, anzi è sempre una bella sfida immergermi in qualsiasi tipo di impegno. Mi piace ritrovarmi la sera, magari molto stanco, ma con una carica addosso che mi fa sentire quasi il padrone del mondo. In quei momenti mi dico: "Guarda quante cose ho fatto!". Inoltre una cosa che mi piace fare è mettere la mia firma dove posso, nelle cose che ho fatto io. Le giornate che vivo così mi danno una certa gioia, ma in alcuni momenti, mi accorgo di una profonda verità e mi sussurro: "So fare tante cose, non perdo un minuto di tempo, ma in fondo non sono veramente contento!. Anzi, questa gioia che a fatica ottengo è molto precaria, instabile, un difficilissimo prodotto che ottengo con tanti sforzi che possono rivelarsi anche completamente inutili”.
A volte non sono felice perché le cose non vanno come vorrei io. Mi accorgo che di solito mi prefiggo degli obiettivi per provare poi la soddisfazione di raggiungerli. In questo modo mi sento qualcuno, provo una certa gioia ad esistere in questo mondo. Posso dire a me stesso: "Guarda che bravo che sono!".
Ma quando non sono contento i miei occhi sono molto attenti agli altri, anche perché li vedo, in quei momenti, felici come io non sono. Allora la ricerca della gioia diventa per me proprio una gara e a forza di giocare tutte le carte che possiedo, ne conquisto un po' e posso tirare un sospiro di sollievo dicendomi che, in fin dei conti, anch'io so essere contento!
Pensando ancora al mio rapporto con le altre persone mi accorgo di essere spesso un giudice spietato nei loro confronti. So fare di esse una perfetta radiografia in base ai miei gusti e criteri. A volte nei confronti di qualche persona provo un certo disprezzo perché dentro di me penso: "Io sono migliore, me la cavo molto meglio". Inoltre quando incontro delle persone veramente "in gamba" faccio fatica a godere della loro ricchezza, a ringraziare il Signore per le capacità, i traguardi, i doni che riescono a trasmettere. Trovare persone così può essere per me una vera sfida, perché ho qualcuno da superare, che prende il posto che vorrei occupare io.
Andando in profondità mi rendo conto che essere superbo per me significa non accettarmi ed amarmi per quello che sono così come sono. E quando vivo con questa amarezza, se da una parte mi rendo conto che le capacità e i doni che possiedo sono una grande risorsa per vivere bene, i limiti che incontro diventano un ostacolo insormontabile, addirittura un'ingiustizia, un castigo e, pensando così, certo Dio non fa bella figura, perché, secondo me, poteva sicuramente crearmi meglio! Proprio per questo allora sta a me, povera creatura, sistemare quello che il Creatore non ha fatto, secondo me, alla perfezione e così l'intraprendenza, il protagonismo, l'affermazione di me stesso, il grande e autentico desiderio di esistere diventano semplicemente la continua espressione di questa "non accettazione" della mia condizione reale, che voglio assolutamente cambiare a modo mio.
Se mi ritrovo spesso, in queste e altre situazioni, bloccato nella trappola della superbia, allo stesso tempo vorrei testimoniarvi che Dio continua ad agire nella mia vita e l'esperienza di fede è per me un vero cammino di liberazione e impegno.
Quando mi riconosco una povera creatura, con delle risorse e con dei limiti, mi sembra di entrare in un vicolo cieco se la mia libertà è ferita dal sospetto di un Dio prevaricatore, oppure di un Dio che mi è nemico, che credo non voglia la mia gioia, anzi desideri rendermi schiavo… ma scoprirmi umile creatura, nella fede, nell'abbandono a un Dio che mi ama così come sono è la strada che mi porta alla sapienza, alla gioia di esistere cioè al gusto di essere e di esserci.
Ci sono alcuni momenti luminosi della mia vita nei quali ho vissuto e vivo in modo profondo e totale questa gioia. Questi momenti sono per me in modo assoluto dei "puri doni" perché sconvolgono completamente il mio modo "viziato" di vivere. La gioia che ho vissuto e vivo è inaspettata, inedita, quasi totalmente indipendente da me, non prodotta con i miei sforzi, ma una gioia accolta, ricevuta in dono. Mi accorgo che la superbia è un vizio soprattutto di "pensiero" più che di "sentimento" essendo un modo distorto di accostarsi alla vita. Per me è facile correre questo rischio perché mi piace riflettere, pensare, studiare, analizzare ogni cosa. Proprio per questo, nella mia vita, un dono immenso sono alcune esperienze travolgenti perché coinvolgono tutta la mia persona non solo la razionalità. Da più di un anno, ad esempio, mi trovo spesso a piangere dalla gioia e le lacrime nascono spontanee dal profondo del mio cuore per l'incontro e l'esperienza di un amore autentico, una benevolenza sconfinata e una stima incondizionata nei miei confronti da parte di alcune persone che, tra l'altro, non sono andato a cercare, ma il Signore ha posto sul mio cammino, come ad esempio il parroco della parrocchia dove presto servizio pastorale al sabato e alla domenica.
Un altro dono così, soprattutto attraverso la confessione, è per me l'esperienza del perdono, che non è certo un prodotto dei miei sforzi o delle mie capacità di essere integerrimo, anzi è una testimonianza che "la misericordia di Dio si stende di generazione in generazione su coloro che lo temono". Custodisco sempre nel cuore la gioia di una riconciliazione avvenuta come sorgente alla quale attingere l'autentico desiderio di esistere iscritto nel mio essere.
Una strada per smascherare la superbia è per me quella di mettermi con umiltà alla presenza del Signore, riconoscendo il suo vero volto, che magari smarrisco tra tanti pensieri e preoccupazioni. Quando sono molto soddisfatto di qualcosa che sono riuscito a fare mi sento quasi il padrone del mondo, ma sono anche profondamente solo. Mi rendo conto che tutto dipende da me e finisce con me e quella particolare soddisfazione che provo sembra quasi implodere, annegare e disperdersi nel mio cuore che rimane poi vuoto. Dio "disperde i superbi nei pensieri del loro cuore", e anch’io mi trovo disperso proprio perché solo. Ma mettendomi alla presenza del Signore con umiltà, posso incontrare il volto di Cristo che mi è compagno di viaggio, fratello e amico nel cammino, che condivide con me la vita! Con un Signore così, la mia fede non può che essere un Magnificat a Dio Padre insieme a Gesù. La mia anima allora comincia ad esultare proprio in Dio, non contro di Lui o proprio perché c'è l'ho fatta senza di Lui! Infatti per me la preghiera spesso è un "tempo di memoria", non di nostalgia, ma di ri-conoscimento, di ri-cordo delle "grandi cose che Dio ha fatto" attraverso di me, non che ho raggiunto io da solo! La preghiera, esprimendo la mia fiducia in Dio, diventa per me la strada per imparare l'umiltà riconoscendo che è Dio il Creatore che continua ad agire nella mia storia. La superbia ferisce questa mia fiducia nell'Amore Infinito di Dio che la preghiera invece mi porta a scoprire ogni volta come una promessa per sempre nei miei confronti.
Combattere la superbia, in fine, per me è passare dal lamento, dall'insoddisfazione, alla gratitudine. Quando sono un giudice spietato di me stesso, delle cose, degli altri, di tutto, i miei occhi non vedono la vera realtà, ma la incontrano filtrata da una pretesa di assolutezza e di potere che però non è autentica. Ma, cosa dire di fronte a un dono? Quali meriti attribuirsi quando la vita supera e travolge le tue misere aspettative? Come essere solo autoreferenziali quando la gioia è frutto di relazione e la tua parte è la minima e la più insignificante? Quando vivo così, sento solo una parola legittima e totalmente vera: GRAZIE! E ricordo che alcuni anni fa, dopo un'estate affollatissima di attività, prima di cominciare la scuola, rendendomi conto della grandezza e della bellezza di ciò che avevo vissuto ho preso un oggetto che si riferisse a ciascuna delle cose fatte e sul piazzale di casa ho composto la parola GRAZIE che poi ho fotografato dal terrazzo. Avevo fatto proprio come Maria: quello era il mio Magnificat e auguro anche a te di riuscire a comporlo spesso per cantare la tua gioia!
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 09:56:34