Ho impostato il mio intervento su due ambiti particolari della nostra storia costituzionale repubblicana, cercando di unire assieme l’aspetto storico-ideologico che informava il sistema politico italiano nell’immediato dopoguerra, ad una parte forse più vicina alla “curiosità politica” sui personaggi e sui fatti che hanno caratterizzato l’Assemblea Costituente.
Naturalmente senza la pretesa di voler riassumere l’intera portata della nostra avventura costituzionale ho pensato di suddividere l’intervento in due parti:
1) la prima riguardante, l’aspetto forse più “tecnico” dei lavori preparatori e dell’Assemblea Costituente
2) e la seconda relativa alle “matrici” politico-ideologiche nella Costituzione.
1. I LAVORI PREPARATORI: L’ASSEMBLEA COSTITUENTE.
« Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi ». Con queste parole Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75, si apprestava il 22 dicembre del 1947 a consegnare il testo definitivo della Costituzione al Presidente Terracini ( ).
Un anno e mezzo prima, il 25 giugno del 1946, il decano e Presidente provvisorio dell’Assemblea costituente, Vittorio Emanuele Orlando, ne aveva aperto i lavori richiamando la « solennità storica » di quella prima adunanza e constatando come ad essa fosse affidato « l’avvenire della Patria nostra » ( ).
Il 2 giugno 1946, gli elettori furono chiamati ad esprimersi, ad un tempo, sulla scelta Monarchia Repubblica e sull’elezione dell’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere e approvare la nuova Costituzione.
Secondo Ruini giungeva allora quel “periodo aperto della liberazione, e poi della ricostruzione” che succedeva “ai lunghi mesi di clausura lateranense nei quali, mentre si organizzava la resistenza, si pensava all’avvenire del paese anche per la sua costituzione”; ciò che bisognava fare era “ricostruire alle basi anche l’ordinamento costituzionale”.
Gli esiti del voto delinearono il reale panorama politico italiano del momento:
- la Democrazia Cristiana assumeva peso preponderante
- sul versante avverso, il Partito Comunista si manifestava come il suo vero antagonista.
Forza rilevante conservava il Partito Socialista, mentre si determinava la scarsa consistenza di partiti minori (Partito d’Azione, repubblicani, ecc.), che pure avevano partecipato attivamente al C.L.N.
All’“esarchia” che aveva caratterizzato il C.L.N. si sostituì il “tripartitismo” ed ebbe inizio il confronto diretto tra marxisti e cattolici, segno indelebile nella storia politica repubblicana.
Per ciò che concerne, la composizione interna delle varie forze, si può constatare che vi fu continuità con la classe dirigente che aveva guidato l’opposizione al fascismo (prima nella Resistenza, poi nel C.L.N). Così, tra i Costituenti, si ritrovarono gli esponenti politici più invisi al regime e da questo perseguitati (Parri, Pertini, Togliatti, Nenni), alcuni ex-capi partigiani (Boldrini, Moscatelli), gli organizzatori della clandestinità (De Gasperi, Basso, La Malfa), gli esponenti del mondo culturale e politico di opposizione al regime (Ruini, Orlando, Mortati, Calamandrei).
A maggior ragione, LA MATRICE “ANTIFASCISTA” comune fu uno dei cardini della coesione tra gli eletti, al di là dei confini di partito.
L’Assemblea si insediò il 25 giugno 1946 ed elesse suo Presidente Giuseppe Saragat; il 28 giugno nominò Capo Provvisorio dello Stato il liberale Enrico De Nicola.
Secondo la legge istitutiva l’Assemblea Costituente avrebbe dovuto darsi un proprio regolamento interno utilizzando, nel frattempo, quello della Camera dei Deputati. In realtà, il consesso rinunciò ad ordinare autonomamente la propria attività.
Pochi giorni dopo, il 28 giugno, il Ministro per la Costituente, Pietro Nenni, consegnò all’Assemblea il lavoro della Commissione, per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato (che, per facilitare lo svolgimento dell’incarico, si era suddivisa in sottocommissioni):
a) per i problemi costituzionali,
b) per l’organizzazione dello Stato,
c) per le autonomie locali,
d) per gli enti pubblici non territoriali.
La durata dei lavori dell’Assemblea inizialmente prevista era di 8 MESI (secondo la legge istitutiva, cioè la “seconda Costituzione provvisoria”); successivamente, nel 1947, il termine fu prorogato per ben due volte.
2. - LA “COMMISSIONE DEI 75”.
Soddisfatte le prime formali esigenze organizzative, il 19 luglio l’On. Saragat informava l’Assemblea di aver proceduto alla composizione della Commissione Costituente, formata appunto da 75 membri.
Ruini, dal canto suo, avrebbe preferito una Commissione con un minore numero di membri: “La Commissione era numerosa: di 75 membri. Avevo desiderato che fosse soltanto di 25; ed in ogni modo non più di 45; che è un numero quasi classico, perché fu quello della Commissione che redasse la più bella Costituzione del mondo, la nordamericana, un secolo e mezzo fa; e poi trent’anni fa della weimariana; ed ora di quella per la Costituzione più recente, la francese”. E ancora: “Forse [75 erano] troppi, ma le varie tendenze chiesero ed ebbero una loro rappresentanza, e si attuò così un reiterato e veramente utile esame”.
L’Assemblea, nell’affidare a 75 deputati su 556 il compito di preparare il progetto di Costituzione, di fatto esautorava gli esclusi, nel periodo dal giugno 1946 al marzo 1947, dal lavoro costituente, costringendo la stessa Assemblea ad uno stato di quasi inattività.
Per esempio, Giulio Andreotti, che era uno dei deputati esautorati disse: ‹‹Io non ho partecipato molto al lavoro in Costituente per una ragione semplice. I primi mesi, sì, ero segretario del gruppo, però partecipavo più organizzativamente, dovevo curare che i 75 fossero sempre presenti, che ci fosse tutto il materiale necessario, che il gruppo di lavoro desse risposte ai quesiti che si poneva loro. Questo andò dal giugno fino al maggio del 1947, quando poi fui nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Da allora facevo il collegamento per informare quotidianamente De Gasperi di quanto accadeva nei lavori preparatori. ››
Il tempo concesso alla Commissione per portare a termine il proprio progetto venne prorogato per due volte; il Presidente Saragat, nel corso della seduta del 10 dicembre 1946, commentò questo allungamento dei tempi dicendo: “Tutti sanno che, a differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi, noi non abbiamo avuto un progetto preliminare, né governativo, né di singoli gruppi, epperò la Commissione ha dovuto creare ex novo, il che, d’altra parte, giova a conferire al suo studio e al suo lavoro tanta maggiore autorità in quanto assicura la diretta ed autonoma espressione delle varie correnti politiche rappresentate nell’Assemblea”.
Il 20 luglio 1946 Saragat diede comunicazione delle decisioni prese dalla stessa nella sua prima riunione in merito all’elezione del Presidente (Ruini), dei tre Vicepresidenti (Terracini, Ghidini e Tupini) e dei tre Segretari (Marinaro, Grassi e Perassi).
La Presidenza della Commissione fu affidata a Meuccio Ruini, che godeva di indiscusso prestigio presso tutte le forze politiche anche sotto il profilo tecnico (in quel periodo era Presidente del Consiglio di Stato); la mediazione tra le fazioni caratterizzò anche la designazione alle altre cariche, che furono ripartite tra i rappresentanti dei maggiori partiti politici (significativamente, le vicepresidenze furono assegnate a Ghidini del PSIUP, a Tupini della DC e a Terracini del PCI).
All’atto della sua formazione, probabilmente si pensò di attribuire alla Commissione dei “75” un ruolo principalmente tecnico, riservando all’Assemblea le grandi scelte politiche; l’intenzione (se vi fu) venne immediatamente, travolta dai fatti: il rigoroso rispetto del principio proporzionale e la qualità delle persone designate dai partiti spostarono l’asse politico all’interno della Commissione.
Come sottolineò Ruini: “...vi erano i capi, i dirigenti di quasi tutti i partiti; vi erano gli esponenti delle organizzazioni operaie e dell’associazione delle società per azioni; vi erano i giuristi, il fiore dei costituzionalisti italiani; vi erano economisti.....Non era una Commissione di incompetenti”. Alla discussione e alla elaborazione del testo presero parte Costituenti non membri dei 75; “basterebbero due nomi: Orlando, decano dell’Assemblea ed il nostro più grande maestro di diritto costituzionale fece interventi penetranti ed un elogio conclusivo troppo bello («Questa Costituzione è un miracolo»); Nitti, con la sua mordace e tenace, ma appassionata collaborazione”.
Il lavoro (di progettazione) dei giuristi, in particolar modo nella seconda Sottocommissione (inerente come vedremo all’ordinamento costituzionale), fu filtrato dai leader dei partiti politici nella Commissione.
Ruini cercò subito di imprimere all’attività un ritmo efficiente e di tracciare le linee generali del lavoro da compiere; si rifiutò di pronunciare il discorso di insediamento (“qui non si devono fare discorsi, ma soltanto osservazioni e proposte concrete”), indicò subito alcuni temi pregiudiziali, sottolineò l’esigenza di giungere a una Costituzione “piana, semplice, comprensibile anche alla gente del popolo”.
- LE SOTTOCOMMISSIONI.
La Commissione stabilì la formazione di tre Sottocommissioni, alle quali trasferì il compito di elaborare la materia costituzionale, senza indicare preventivamente alcun criterio guida:
[Fu Giuseppe Dossetti a presentare la mozione d’ordine sul progetto per il regolamento dei lavori: la Commissione avrebbe dovuto suddividersi in tre Sottocommissioni per la trattazione di altrettanti delimitati problemi]
i) la prima, presieduta da Tupini, si sarebbe occupata di diritti e doveri dei cittadini;
ii) la seconda (ripartita in due sezioni e formata da 38 membri, anziché 18 come le altre), con presidente Terracini, ebbe competenza sull’ordinamento costituzionale;
iii) la terza, con a capo Ghidini affrontò i diritti e doveri economico-sociali.
Ruini partecipava ai lavori di tutte senza essere membro di nessuna in particolare.
Dopo aver stabilito che i punti di disaccordo tra le Sottocommissioni sarebbero stati rinviati, per la decisione finale, alla Commissione plenaria, tutti si trovarono d’accordo che si stessero investendo le Sottocommissioni di un mandato politico e, di conseguenza, si decise di comporle sulla base dei rapporti di forza che si erano delineati tra le fazioni in Assemblea (anche con un solo componente, fu assicurata la partecipazione dei partiti minori).
Contro la proposta di chi, come l’On. Lucifero, ritenendo il lavoro delle Sottocommissioni semplicemente preparatorio, intendeva lasciare alla libera valutazione dei deputati la scelta della Sottocommissione a cui appartenere.
Non va sottovalutato l’apporto dato dai DIBATTITI IN SENO ALLA CONSULTA, istituita nel 1945 per supplire all’assenza di un organo di diretta derivazione popolare nell’ultimo periodo della fase transitoria: nonostante la limitatezza dei suoi poteri, gli orientamenti espressi su progetti di legge o problemi di carattere generale furono acquisiti in sede costituente.
2. LE “MATRICI” POLITICO-IDEOLOGICHE NELLA COSTITUZIONE.
Contribuirono, alla creazione della Carta, oltre naturalmente al complesso intrecciarsi delle ideologie politico-culturali dei maggiori partiti italiani, anche le esperienze costituzionali straniere più importanti. Queste attrassero soprattutto l’attenzione degli specialisti, ma che furono, ad ogni modo, comunque conosciute dai Costituenti italiani:
a) LA CARTA DI WEIMAR, B) LA CARTA STALINIANA, C) LA COSTITUENTE FRANCESE.
Quest’ultima si sviluppò quasi contemporaneamente (la Carta d’oltralpe é del 1946): la “parentela” tra i due testi prodotti é sottolineata da numerosi studiosi alla luce delle analoghe correnti di pensiero che, nel periodo postbellico, circolavano in Italia e Francia: come principali vie di uscita dalla crisi della guerra, spiccavano il MARXISMO e il “PERSONALISMO CRISTIANO”, il quale riprende, in forma corretta, l’individualismo dell’età liberale.
Le somiglianze nei presupposti si sono poi tradotte in similitudini nei testi: entrambe le Carte si qualificano come Costituzioni “lunghe e dettagliate” (Ruini criticò tale scelta dicendo che nel testo mancava solo: «La Repubblica garantisce e mette nella Costituzione l’orario dei treni») e “DI COMPROMESSO” TRA L’INTERVENTISMO E IL LIBERALISMO “CRISTIANO”.
IL CLIMA DISCRETO E APPARTATO, senza forme di pubblicità diretta (le tracce rimaste si limitano a semplici resoconti dell’attività della Commissione dei “75” e delle tre Sottocommissioni), SULL’ESEMPIO DEI “PADRI” DELLA COSTITUZIONE STATUNITENSE, e l’agilità delle strutture FAVORIRONO IL DIALOGO TRA LE FORZE POLITICHE per raggiungere i punti d’incontro: “le questioni più importanti, - diceva Calamandrei - prima che nelle riunioni della competente Sottocommissione, furono risolte nei corridoi”.
In via del tutto generale, si può affermare che la Costituzione italiana (seguendo l’impostazione di BOBBIO E PIERANDREI, in una loro nota “Introduzione alla Costituzione”):
E’ UNA COSTITUZIONE ISPIRATA A IDEALI LIBERALI, INTEGRATI DA IDEALI SOCIALISTI, CORRETTI DA IDEALI CRISTIANO SOCIALI.
Bobbio, continua ‹‹ Nulla di ciò che costituiva il patrimonio della dottrina classica liberale e democratica è stato respinto dai nostri costituenti: né il più ampio accoglimento dei diritti di libertà, anche se è caduta l’espressione, diventata desueta, “diritti naturali”, ed è stata sostituita con un’altra, del resto equivalente, diritti inviolabili dell’uomo (art. 2); né il principio della separazione e dell’equilibrio dei poteri; né l’attribuzione più estesa dei diritti politici allo scopo di attuare il principio della sovranità popolare, affermato solennemente nell’art. 1: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”››
E ancora, ‹‹ ma con altrettanta sicurezza si può dire che non poteva essere più ampio il riconoscimento dei diritti sociali, espressione di un secolo di conquiste del movimento operaio, a cominciare dalla formula iniziale, secondo cui l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1, comma 1), per passare all’affermazione del diritto del lavoro dell’art. 4, e via via a tutte a tutte le disposizioni a tutela dei lavoratori, a cui è dedicato il titolo III, e che si ritrovano in forma non sostanzialmente diversa nelle Costituzioni di ispirazione socialista. La possibilità, prevista dall’art. 43, della nazionalizzazione delle grandi imprese è la riproduzione, quasi testuale, di un capitolo essenziale di ogni programma socialista. Infine, al forma più tipica di lotta operaia, considerata da certe punte estreme del socialismo rivoluzionario arma decisiva per il rovesciamento della società borghese, lo SCIOPERO, è stata riconosciuta e quindi resa lecita nell’art. 40, in modo particolarmente impegnativo, non essendosi dato egual riconoscimento al diritto opposto degli imprenditori, LA SERRATA ››
Ed infine, ‹‹ […] Negli articoli relativi all’assetto economico, che dovrebbe essere raggiunto, non par dubbio che la dottrina sociale cattolica italiana abbia esercitato un influsso preminente. La meta finale a cui hanno mirato, in ultima analisi, i nostri costituenti, è stata non quella della socializzazione ma della ridistribuzione della proprietà in modo da renderla accessibile a tutti (art. 42 comma 2); questa formula riecheggia un’analoga dichiarazione della RERUM NOVARUM, ove si dice che “debbono le leggi… far in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari” (paragrafo 35). […] In attesa della ridistribuzione , la proprietà individuale è garantita, ma solo nella misura in cui adempie alla sua funzione sociale (art. 42, comma 2): ed anche questa è dottrina tradizionalmente cattolica, come si può vedere nel CODICE DI MALINES, secondo cui “ nei limiti richiesti dalla necessità, l’autorità pubblica ha diritto…di determinare…l’uso che i proprietari potranno fare o no dei loro beni” (paragrafo 96). ››.
- LA COSTITUZIONE ITALIANA È NATA DALLA RESISTENZA.
Alla Resistenza parteciparono forze politiche democratico-moderate (ma anche cd. forze azioniste) e di ispirazione marxista, tutte col comune intento di liberare l’Italia dai tedeschi e dai fascisti.
Ma la storiografia imparziale e non “politicizzata” ha ormai riconosciuto che, in seno alla Resistenza, UNA INSUPERABILE FRATTURA ESISTEVA TRA LE FORZE “MODERATE” E QUELLE “RIVOLUZIONARIE” quanto alla politica di ricostruzione da adottare dopo la liberazione; e che, alla resa dei conti, su questo fondamentale punto, ALLA FINE LA VITTORIA SPETTÒ PER INTERO AI “MODERATI”.
Nonostante il voto positivo che tutte esse diedero al testo approntato, sta una analoga, decisiva frattura: democratici da un lato e marxisti dall’altro concepivano la Costituzione che avrebbe dovuto governare l’Italia in futuro in termini antitetici. All’Assemblea costituente, come nella Resistenza, NON VI FU COME ABBIAMO APPENA RICORTATO – SALVO IN ALCUNE CIRCOSTANZE – UNO SCONTRO APERTO, TRA I FRONTI CONTRAPPOSTI.
La parte democratica impose nel testo adottato il modello del CD. “STATO SOCIALE”, che era ormai quello, in varie versioni, di tutte le democrazie occidentali di origine liberale. Lo impose, tra l’altro, in una versione complessivamente moderata – come risulta in particolare da una valutazione attenta, e conforme alle intenzioni della maggioranza dei votanti, degli articoli concernenti l’ordinamento dell’economia, i rapporti di lavoro, i servizi sociali, le regole sui poteri dello stato in materia di moneta e di bilancio, ecc. (artt. 31, 33, 34, 35 – 40, 41, 42, 46, 47, 81, ecc).
La “FRATTURA IDEALE” presente in Assemblea non fu dovuta – come talvolta di insinua – all’inserirsi della “guerra fredda”, scoppiata frattanto tra le due superpotenze gareggianti per l’egemonia mondiale, nelle vicende della politica italiana:
“Essa aveva le sue serissime radici ideali nelle opposte fedi etiche e politiche che si fronteggiavano tra i costituenti. Ed era una frattura, si potrebbe dire quasi drammatica, perché la parte marxista dell’Assemblea non consisteva in una minoranza più o meno marginale e dunque politicamente trascurabile, ma aveva dietro di sé dal 30% al 40% dell’intero paese.”
- IL CD. “COMPROMESSO”.
Una Costituzione è il prodotto di forze politiche portatrici di istanze ideologiche le quali condizionano e delimitano le possibilità di scelta dei costituenti.
Per Andreotti, ad esempio, il nostro modello costituzionale « ha quel tanto di ambiguità costruttiva che ha consentito aggiustamenti politici di grande rilievo, senza che fossero mai messi in giuoco i valori democratici fondamentali ».
Per Foa, la Costituente seppe mantenere la capacità di dialogare perché « [...] al mattino si discuteva di politica con uno scambio di opinioni molto duro tra la destra e la sinistra, e anche all’interno di ciascuna delle due parti. Il pomeriggio invece si lavorava alla stesura della Costituzione ».
Ne è prova, il fatto che i costituenti seppero guardare lontano e lavorarono con una quotidiana ricerca di linee di mediazione tra correnti e radici diverse. Tanto è vero che, quando nel maggio 1947 andò in crisi il governo di coalizione del Cln e passarono all’opposizione comunisti e socialisti, il lavoro della Costituente non ne fu contagiato e continuò identico.
Nel corso della discussione in Assemblea, Nitti disse ( ) che il testo costituzionale: “voleva contemperare le tendenze più opposte....il catechismo e la dialettica marxista”.
Mentre il giurista Calamandrei ( ) che temeva che l’accordo si traducesse in una coalizione tripartitica ( ) (tra democristiani, socialisti e comunisti) di lunga durata, definendo “pateracchio” questa convergenza di forze politiche nella quale, “per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa”. Un’altra battuta famosa attribuita a Calamandrei é: “La Costituzione é scritta metà in latino e metà in russo.”
Ribatté per primo Lelio Basso ( ): “Se con questo si vuol dire che il progetto di Costituzione é il frutto di uno sforzo di diversi partiti per trovare un’espressione concorde che rappresenti l’espressione della volontà della grande maggioranza degli Italiani, questo non é un difetto”. E così pure Lussu ( ): “un compromesso fra le classi in una rivoluzione nazionale pacifica”.
Per La Pira, “cercare i punti di contatto, i punti di passaggio, i punti di organizzazione” significava una costruzione comune per soddisfare il bisogno di rifondazione della nazione.
Togliatti, da una parte, lamentava il “deteriore” metodo negoziale (secondo il leader comunista, questo era stato adottato da Ruini in seno al Comitato di Redazione col fine di ampliare il consenso) che aveva annacquato i testi delle sottocommissioni; dall’altra, sosteneva, come Basso, “che la ricerca di far confluire su “un terreno comune” correnti ideologiche e politiche diverse non comportava una mercificazione delle proprie posizioni”.
Il Presidente della Commissione, Meuccio Ruini, espose il proprio pensiero ( ) SULLA QUESTIONE DEL “COMPROMESSO” con grande chiarezza, dimostrando il proprio spessore di politico e di Costituente: “Le grandi idee animatrici debbono accompagnarsi col senso della realtà, della concretezza, delle possibilità effettive, ma la parola «compromesso» grava come un incubo. Vi è una parola che ha aleggiato qui, ed è stata ripetuta come un ritornello: la parola “compromesso”. Vi devo confessare che, nella mia relazione, avevo messo un brano che trovavo molto bello, ma poi l’ho tolto per paura della parola. Che cosa significa in origine compromesso? Vuol dire, che parecchi fanno promessa insieme, assumono un impegno, stipulano un patto; e non c’è nulla di male, ed è necessità elementare di vita. Vi è bensì un senso deteriore, una deformazione che l’onorevole Ghidini ha messo molto bene in luce, ed è il baratto, il mercato, la combinazione oscura di interessi, non d’idee. Per evitare l’equivoco, liberiamoci pure della parola. Cambiamola; parleremo di patto, parleremo d’accordo, parleremo di convergenza di pensiero e di forze sopra punti determinanti.”
I VALORI FONDAMENTALI CHE FONDARONO L’INNEGABILE ACCORDO INTERCORSO TRA LE VARIE FORZE POLITICHE PER GIUNGERE AD UNA COSTITUZIONE DEMOCRATICA E GARANTISTA (FU SU QUESTI PUNTI CHE SI EBBE LA MAGGIORE CONVERGENZA) SONO ESSENZIALMENTE TRE:
a) IL FORTE SENTIMENTO DI DIFESA DELL’UNITÀ NAZIONALE
b) IL RISPETTO PER LA TRADIZIONE RISORGIMENTALE (Infatti, se l’obiettivo primario era certamente raggiungere “unione, pacificazione, concordia” (V. E. Orlando), non era possibile rifondare lo Stato prescindendo dalla struttura dello Stato liberale, che, in quel momento, rappresentava l’unico approccio organizzativo utilizzabile.)
c) LA LOTTA ANTIFASCISTA.
- L’ELEMENTO DI COESIONE: L’ANTIFASCISMO.
Un elemento determinante, dunque, fu l’antifascismo: la principale forza coesiva, la spinta più forte verso le intese.
Quando, in apertura del dibattito, Lucifero propose una Costituzione “afascista” ( ), in nome della riconciliazione nazionale, la risposta dei democristiani e dei comunisti fu chiara la Carta doveva essere “antifascista”. Fu proprio la preoccupazione di evitare il risorgere di nuove esperienze autoritarie a contraddistinguere le intese raggiunte sui valori fondamentali che furono attaccati dal regime (libertà civili e politiche, sovranità popolare, centralità del Parlamento): lo testimoniano gli applausi tributati in aula all’approvazione dei primi due articoli della Costituzione.
[Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.]
Inoltre, la convergenza verso il garantismo sulle libertà fondamentali era una sorta di “ASSICURAZIONE SUL FUTURO”: i maggiori partiti (DC e PCI) cercavano di garantirsi contro il rischio di trovarsi in minoranza una volta terminata l’approvazione della Carta.
Anche altri fattori di aggregazione determinarono il già menzionato “compromesso” alla Costituente e, del resto, come sottolinea lo stesso Presidente dei 75, ciò fa parte della storia umana, della politica e della loro evoluzione: “Ogni Costituzione è un’opera di circostanze più che di logica giuridica. Più spesso è il frutto di transazioni, di compromessi; ma la transazione è lo stato finale dell’opera costituente”.
Su alcune questioni non fu possibile realizzare un accordo ma in molte altre, malgrado le diversità di opinioni sottolineate, anche in Assemblea, dal susseguirsi di voti e controvoti, l’esito finale fu positivo; Ruini evidenziò l’importanza di questo sforzo da parte della classe politica scrivendo: “la nostra Costituzione vivrà in quanto sarà riuscita ad essere, al di fuori dei negoziati consapevoli delle parti, il compromesso richiesto dal momento storico” ( ).
Il primo gennaio 1948 la Costituzione Repubblicana entrò in vigore.
In questo ho dato grande rilievo alla cd. contrapposizione tra le ideologie politiche che hanno animato e dato spessore alla nostra Costituzione, e per concludere sempre riprendendo il pensiero di Bobbio, SULLA CONTRAPPOSIZIONE POLITICA:
‹‹ E’ PROPRIO DELLA CONCEZIONE LIBERALE E DEMOCRATICA DELLA VITA CHE L’ANTAGONISMO TRA I VARI GRUPPI, TRA GLI INTERESSI CONTRAPPOSTI, TRA LE DIVERSE IDEOLOGIE, QUALORA SIA REGOLATO GIURIDICAMENTE IN MODO DA NON GENERARE CONFLITTO VIOLENTO, SIA LA MOLLA DI OGNI PROGRESSO CIVILE. E’ COMPITO DELLA DEMOCRAZIA FAR SI CHE IL PROGRESSO DI UNA NAZIONE NASCA, ANZICHE’ DALL’IMPOSIZIONE AUTORITARIA DI UNA SOLA DOTTRINA, DAL CONTRASTO DI MOLTE ››.
Scritto da Bianca il aprile 20 2007 22:32:200 Commenti · 137 Letture · ·
Naturalmente senza la pretesa di voler riassumere l’intera portata della nostra avventura costituzionale ho pensato di suddividere l’intervento in due parti:
1) la prima riguardante, l’aspetto forse più “tecnico” dei lavori preparatori e dell’Assemblea Costituente
2) e la seconda relativa alle “matrici” politico-ideologiche nella Costituzione.
1. I LAVORI PREPARATORI: L’ASSEMBLEA COSTITUENTE.
« Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi ». Con queste parole Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75, si apprestava il 22 dicembre del 1947 a consegnare il testo definitivo della Costituzione al Presidente Terracini ( ).
Un anno e mezzo prima, il 25 giugno del 1946, il decano e Presidente provvisorio dell’Assemblea costituente, Vittorio Emanuele Orlando, ne aveva aperto i lavori richiamando la « solennità storica » di quella prima adunanza e constatando come ad essa fosse affidato « l’avvenire della Patria nostra » ( ).
Il 2 giugno 1946, gli elettori furono chiamati ad esprimersi, ad un tempo, sulla scelta Monarchia Repubblica e sull’elezione dell’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere e approvare la nuova Costituzione.
Secondo Ruini giungeva allora quel “periodo aperto della liberazione, e poi della ricostruzione” che succedeva “ai lunghi mesi di clausura lateranense nei quali, mentre si organizzava la resistenza, si pensava all’avvenire del paese anche per la sua costituzione”; ciò che bisognava fare era “ricostruire alle basi anche l’ordinamento costituzionale”.
Gli esiti del voto delinearono il reale panorama politico italiano del momento:
- la Democrazia Cristiana assumeva peso preponderante
- sul versante avverso, il Partito Comunista si manifestava come il suo vero antagonista.
Forza rilevante conservava il Partito Socialista, mentre si determinava la scarsa consistenza di partiti minori (Partito d’Azione, repubblicani, ecc.), che pure avevano partecipato attivamente al C.L.N.
All’“esarchia” che aveva caratterizzato il C.L.N. si sostituì il “tripartitismo” ed ebbe inizio il confronto diretto tra marxisti e cattolici, segno indelebile nella storia politica repubblicana.
Per ciò che concerne, la composizione interna delle varie forze, si può constatare che vi fu continuità con la classe dirigente che aveva guidato l’opposizione al fascismo (prima nella Resistenza, poi nel C.L.N). Così, tra i Costituenti, si ritrovarono gli esponenti politici più invisi al regime e da questo perseguitati (Parri, Pertini, Togliatti, Nenni), alcuni ex-capi partigiani (Boldrini, Moscatelli), gli organizzatori della clandestinità (De Gasperi, Basso, La Malfa), gli esponenti del mondo culturale e politico di opposizione al regime (Ruini, Orlando, Mortati, Calamandrei).
A maggior ragione, LA MATRICE “ANTIFASCISTA” comune fu uno dei cardini della coesione tra gli eletti, al di là dei confini di partito.
L’Assemblea si insediò il 25 giugno 1946 ed elesse suo Presidente Giuseppe Saragat; il 28 giugno nominò Capo Provvisorio dello Stato il liberale Enrico De Nicola.
Secondo la legge istitutiva l’Assemblea Costituente avrebbe dovuto darsi un proprio regolamento interno utilizzando, nel frattempo, quello della Camera dei Deputati. In realtà, il consesso rinunciò ad ordinare autonomamente la propria attività.
Pochi giorni dopo, il 28 giugno, il Ministro per la Costituente, Pietro Nenni, consegnò all’Assemblea il lavoro della Commissione, per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato (che, per facilitare lo svolgimento dell’incarico, si era suddivisa in sottocommissioni):
a) per i problemi costituzionali,
b) per l’organizzazione dello Stato,
c) per le autonomie locali,
d) per gli enti pubblici non territoriali.
La durata dei lavori dell’Assemblea inizialmente prevista era di 8 MESI (secondo la legge istitutiva, cioè la “seconda Costituzione provvisoria”); successivamente, nel 1947, il termine fu prorogato per ben due volte.
2. - LA “COMMISSIONE DEI 75”.
Soddisfatte le prime formali esigenze organizzative, il 19 luglio l’On. Saragat informava l’Assemblea di aver proceduto alla composizione della Commissione Costituente, formata appunto da 75 membri.
Ruini, dal canto suo, avrebbe preferito una Commissione con un minore numero di membri: “La Commissione era numerosa: di 75 membri. Avevo desiderato che fosse soltanto di 25; ed in ogni modo non più di 45; che è un numero quasi classico, perché fu quello della Commissione che redasse la più bella Costituzione del mondo, la nordamericana, un secolo e mezzo fa; e poi trent’anni fa della weimariana; ed ora di quella per la Costituzione più recente, la francese”. E ancora: “Forse [75 erano] troppi, ma le varie tendenze chiesero ed ebbero una loro rappresentanza, e si attuò così un reiterato e veramente utile esame”.
L’Assemblea, nell’affidare a 75 deputati su 556 il compito di preparare il progetto di Costituzione, di fatto esautorava gli esclusi, nel periodo dal giugno 1946 al marzo 1947, dal lavoro costituente, costringendo la stessa Assemblea ad uno stato di quasi inattività.
Per esempio, Giulio Andreotti, che era uno dei deputati esautorati disse: ‹‹Io non ho partecipato molto al lavoro in Costituente per una ragione semplice. I primi mesi, sì, ero segretario del gruppo, però partecipavo più organizzativamente, dovevo curare che i 75 fossero sempre presenti, che ci fosse tutto il materiale necessario, che il gruppo di lavoro desse risposte ai quesiti che si poneva loro. Questo andò dal giugno fino al maggio del 1947, quando poi fui nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Da allora facevo il collegamento per informare quotidianamente De Gasperi di quanto accadeva nei lavori preparatori. ››
Il tempo concesso alla Commissione per portare a termine il proprio progetto venne prorogato per due volte; il Presidente Saragat, nel corso della seduta del 10 dicembre 1946, commentò questo allungamento dei tempi dicendo: “Tutti sanno che, a differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi, noi non abbiamo avuto un progetto preliminare, né governativo, né di singoli gruppi, epperò la Commissione ha dovuto creare ex novo, il che, d’altra parte, giova a conferire al suo studio e al suo lavoro tanta maggiore autorità in quanto assicura la diretta ed autonoma espressione delle varie correnti politiche rappresentate nell’Assemblea”.
Il 20 luglio 1946 Saragat diede comunicazione delle decisioni prese dalla stessa nella sua prima riunione in merito all’elezione del Presidente (Ruini), dei tre Vicepresidenti (Terracini, Ghidini e Tupini) e dei tre Segretari (Marinaro, Grassi e Perassi).
La Presidenza della Commissione fu affidata a Meuccio Ruini, che godeva di indiscusso prestigio presso tutte le forze politiche anche sotto il profilo tecnico (in quel periodo era Presidente del Consiglio di Stato); la mediazione tra le fazioni caratterizzò anche la designazione alle altre cariche, che furono ripartite tra i rappresentanti dei maggiori partiti politici (significativamente, le vicepresidenze furono assegnate a Ghidini del PSIUP, a Tupini della DC e a Terracini del PCI).
All’atto della sua formazione, probabilmente si pensò di attribuire alla Commissione dei “75” un ruolo principalmente tecnico, riservando all’Assemblea le grandi scelte politiche; l’intenzione (se vi fu) venne immediatamente, travolta dai fatti: il rigoroso rispetto del principio proporzionale e la qualità delle persone designate dai partiti spostarono l’asse politico all’interno della Commissione.
Come sottolineò Ruini: “...vi erano i capi, i dirigenti di quasi tutti i partiti; vi erano gli esponenti delle organizzazioni operaie e dell’associazione delle società per azioni; vi erano i giuristi, il fiore dei costituzionalisti italiani; vi erano economisti.....Non era una Commissione di incompetenti”. Alla discussione e alla elaborazione del testo presero parte Costituenti non membri dei 75; “basterebbero due nomi: Orlando, decano dell’Assemblea ed il nostro più grande maestro di diritto costituzionale fece interventi penetranti ed un elogio conclusivo troppo bello («Questa Costituzione è un miracolo»); Nitti, con la sua mordace e tenace, ma appassionata collaborazione”.
Il lavoro (di progettazione) dei giuristi, in particolar modo nella seconda Sottocommissione (inerente come vedremo all’ordinamento costituzionale), fu filtrato dai leader dei partiti politici nella Commissione.
Ruini cercò subito di imprimere all’attività un ritmo efficiente e di tracciare le linee generali del lavoro da compiere; si rifiutò di pronunciare il discorso di insediamento (“qui non si devono fare discorsi, ma soltanto osservazioni e proposte concrete”), indicò subito alcuni temi pregiudiziali, sottolineò l’esigenza di giungere a una Costituzione “piana, semplice, comprensibile anche alla gente del popolo”.
- LE SOTTOCOMMISSIONI.
La Commissione stabilì la formazione di tre Sottocommissioni, alle quali trasferì il compito di elaborare la materia costituzionale, senza indicare preventivamente alcun criterio guida:
[Fu Giuseppe Dossetti a presentare la mozione d’ordine sul progetto per il regolamento dei lavori: la Commissione avrebbe dovuto suddividersi in tre Sottocommissioni per la trattazione di altrettanti delimitati problemi]
i) la prima, presieduta da Tupini, si sarebbe occupata di diritti e doveri dei cittadini;
ii) la seconda (ripartita in due sezioni e formata da 38 membri, anziché 18 come le altre), con presidente Terracini, ebbe competenza sull’ordinamento costituzionale;
iii) la terza, con a capo Ghidini affrontò i diritti e doveri economico-sociali.
Ruini partecipava ai lavori di tutte senza essere membro di nessuna in particolare.
Dopo aver stabilito che i punti di disaccordo tra le Sottocommissioni sarebbero stati rinviati, per la decisione finale, alla Commissione plenaria, tutti si trovarono d’accordo che si stessero investendo le Sottocommissioni di un mandato politico e, di conseguenza, si decise di comporle sulla base dei rapporti di forza che si erano delineati tra le fazioni in Assemblea (anche con un solo componente, fu assicurata la partecipazione dei partiti minori).
Contro la proposta di chi, come l’On. Lucifero, ritenendo il lavoro delle Sottocommissioni semplicemente preparatorio, intendeva lasciare alla libera valutazione dei deputati la scelta della Sottocommissione a cui appartenere.
Non va sottovalutato l’apporto dato dai DIBATTITI IN SENO ALLA CONSULTA, istituita nel 1945 per supplire all’assenza di un organo di diretta derivazione popolare nell’ultimo periodo della fase transitoria: nonostante la limitatezza dei suoi poteri, gli orientamenti espressi su progetti di legge o problemi di carattere generale furono acquisiti in sede costituente.
2. LE “MATRICI” POLITICO-IDEOLOGICHE NELLA COSTITUZIONE.
Contribuirono, alla creazione della Carta, oltre naturalmente al complesso intrecciarsi delle ideologie politico-culturali dei maggiori partiti italiani, anche le esperienze costituzionali straniere più importanti. Queste attrassero soprattutto l’attenzione degli specialisti, ma che furono, ad ogni modo, comunque conosciute dai Costituenti italiani:
a) LA CARTA DI WEIMAR, B) LA CARTA STALINIANA, C) LA COSTITUENTE FRANCESE.
Quest’ultima si sviluppò quasi contemporaneamente (la Carta d’oltralpe é del 1946): la “parentela” tra i due testi prodotti é sottolineata da numerosi studiosi alla luce delle analoghe correnti di pensiero che, nel periodo postbellico, circolavano in Italia e Francia: come principali vie di uscita dalla crisi della guerra, spiccavano il MARXISMO e il “PERSONALISMO CRISTIANO”, il quale riprende, in forma corretta, l’individualismo dell’età liberale.
Le somiglianze nei presupposti si sono poi tradotte in similitudini nei testi: entrambe le Carte si qualificano come Costituzioni “lunghe e dettagliate” (Ruini criticò tale scelta dicendo che nel testo mancava solo: «La Repubblica garantisce e mette nella Costituzione l’orario dei treni») e “DI COMPROMESSO” TRA L’INTERVENTISMO E IL LIBERALISMO “CRISTIANO”.
IL CLIMA DISCRETO E APPARTATO, senza forme di pubblicità diretta (le tracce rimaste si limitano a semplici resoconti dell’attività della Commissione dei “75” e delle tre Sottocommissioni), SULL’ESEMPIO DEI “PADRI” DELLA COSTITUZIONE STATUNITENSE, e l’agilità delle strutture FAVORIRONO IL DIALOGO TRA LE FORZE POLITICHE per raggiungere i punti d’incontro: “le questioni più importanti, - diceva Calamandrei - prima che nelle riunioni della competente Sottocommissione, furono risolte nei corridoi”.
In via del tutto generale, si può affermare che la Costituzione italiana (seguendo l’impostazione di BOBBIO E PIERANDREI, in una loro nota “Introduzione alla Costituzione”):
E’ UNA COSTITUZIONE ISPIRATA A IDEALI LIBERALI, INTEGRATI DA IDEALI SOCIALISTI, CORRETTI DA IDEALI CRISTIANO SOCIALI.
Bobbio, continua ‹‹ Nulla di ciò che costituiva il patrimonio della dottrina classica liberale e democratica è stato respinto dai nostri costituenti: né il più ampio accoglimento dei diritti di libertà, anche se è caduta l’espressione, diventata desueta, “diritti naturali”, ed è stata sostituita con un’altra, del resto equivalente, diritti inviolabili dell’uomo (art. 2); né il principio della separazione e dell’equilibrio dei poteri; né l’attribuzione più estesa dei diritti politici allo scopo di attuare il principio della sovranità popolare, affermato solennemente nell’art. 1: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”››
E ancora, ‹‹ ma con altrettanta sicurezza si può dire che non poteva essere più ampio il riconoscimento dei diritti sociali, espressione di un secolo di conquiste del movimento operaio, a cominciare dalla formula iniziale, secondo cui l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1, comma 1), per passare all’affermazione del diritto del lavoro dell’art. 4, e via via a tutte a tutte le disposizioni a tutela dei lavoratori, a cui è dedicato il titolo III, e che si ritrovano in forma non sostanzialmente diversa nelle Costituzioni di ispirazione socialista. La possibilità, prevista dall’art. 43, della nazionalizzazione delle grandi imprese è la riproduzione, quasi testuale, di un capitolo essenziale di ogni programma socialista. Infine, al forma più tipica di lotta operaia, considerata da certe punte estreme del socialismo rivoluzionario arma decisiva per il rovesciamento della società borghese, lo SCIOPERO, è stata riconosciuta e quindi resa lecita nell’art. 40, in modo particolarmente impegnativo, non essendosi dato egual riconoscimento al diritto opposto degli imprenditori, LA SERRATA ››
Ed infine, ‹‹ […] Negli articoli relativi all’assetto economico, che dovrebbe essere raggiunto, non par dubbio che la dottrina sociale cattolica italiana abbia esercitato un influsso preminente. La meta finale a cui hanno mirato, in ultima analisi, i nostri costituenti, è stata non quella della socializzazione ma della ridistribuzione della proprietà in modo da renderla accessibile a tutti (art. 42 comma 2); questa formula riecheggia un’analoga dichiarazione della RERUM NOVARUM, ove si dice che “debbono le leggi… far in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari” (paragrafo 35). […] In attesa della ridistribuzione , la proprietà individuale è garantita, ma solo nella misura in cui adempie alla sua funzione sociale (art. 42, comma 2): ed anche questa è dottrina tradizionalmente cattolica, come si può vedere nel CODICE DI MALINES, secondo cui “ nei limiti richiesti dalla necessità, l’autorità pubblica ha diritto…di determinare…l’uso che i proprietari potranno fare o no dei loro beni” (paragrafo 96). ››.
- LA COSTITUZIONE ITALIANA È NATA DALLA RESISTENZA.
Alla Resistenza parteciparono forze politiche democratico-moderate (ma anche cd. forze azioniste) e di ispirazione marxista, tutte col comune intento di liberare l’Italia dai tedeschi e dai fascisti.
Ma la storiografia imparziale e non “politicizzata” ha ormai riconosciuto che, in seno alla Resistenza, UNA INSUPERABILE FRATTURA ESISTEVA TRA LE FORZE “MODERATE” E QUELLE “RIVOLUZIONARIE” quanto alla politica di ricostruzione da adottare dopo la liberazione; e che, alla resa dei conti, su questo fondamentale punto, ALLA FINE LA VITTORIA SPETTÒ PER INTERO AI “MODERATI”.
Nonostante il voto positivo che tutte esse diedero al testo approntato, sta una analoga, decisiva frattura: democratici da un lato e marxisti dall’altro concepivano la Costituzione che avrebbe dovuto governare l’Italia in futuro in termini antitetici. All’Assemblea costituente, come nella Resistenza, NON VI FU COME ABBIAMO APPENA RICORTATO – SALVO IN ALCUNE CIRCOSTANZE – UNO SCONTRO APERTO, TRA I FRONTI CONTRAPPOSTI.
La parte democratica impose nel testo adottato il modello del CD. “STATO SOCIALE”, che era ormai quello, in varie versioni, di tutte le democrazie occidentali di origine liberale. Lo impose, tra l’altro, in una versione complessivamente moderata – come risulta in particolare da una valutazione attenta, e conforme alle intenzioni della maggioranza dei votanti, degli articoli concernenti l’ordinamento dell’economia, i rapporti di lavoro, i servizi sociali, le regole sui poteri dello stato in materia di moneta e di bilancio, ecc. (artt. 31, 33, 34, 35 – 40, 41, 42, 46, 47, 81, ecc).
La “FRATTURA IDEALE” presente in Assemblea non fu dovuta – come talvolta di insinua – all’inserirsi della “guerra fredda”, scoppiata frattanto tra le due superpotenze gareggianti per l’egemonia mondiale, nelle vicende della politica italiana:
“Essa aveva le sue serissime radici ideali nelle opposte fedi etiche e politiche che si fronteggiavano tra i costituenti. Ed era una frattura, si potrebbe dire quasi drammatica, perché la parte marxista dell’Assemblea non consisteva in una minoranza più o meno marginale e dunque politicamente trascurabile, ma aveva dietro di sé dal 30% al 40% dell’intero paese.”
- IL CD. “COMPROMESSO”.
Una Costituzione è il prodotto di forze politiche portatrici di istanze ideologiche le quali condizionano e delimitano le possibilità di scelta dei costituenti.
Per Andreotti, ad esempio, il nostro modello costituzionale « ha quel tanto di ambiguità costruttiva che ha consentito aggiustamenti politici di grande rilievo, senza che fossero mai messi in giuoco i valori democratici fondamentali ».
Per Foa, la Costituente seppe mantenere la capacità di dialogare perché « [...] al mattino si discuteva di politica con uno scambio di opinioni molto duro tra la destra e la sinistra, e anche all’interno di ciascuna delle due parti. Il pomeriggio invece si lavorava alla stesura della Costituzione ».
Ne è prova, il fatto che i costituenti seppero guardare lontano e lavorarono con una quotidiana ricerca di linee di mediazione tra correnti e radici diverse. Tanto è vero che, quando nel maggio 1947 andò in crisi il governo di coalizione del Cln e passarono all’opposizione comunisti e socialisti, il lavoro della Costituente non ne fu contagiato e continuò identico.
Nel corso della discussione in Assemblea, Nitti disse ( ) che il testo costituzionale: “voleva contemperare le tendenze più opposte....il catechismo e la dialettica marxista”.
Mentre il giurista Calamandrei ( ) che temeva che l’accordo si traducesse in una coalizione tripartitica ( ) (tra democristiani, socialisti e comunisti) di lunga durata, definendo “pateracchio” questa convergenza di forze politiche nella quale, “per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa”. Un’altra battuta famosa attribuita a Calamandrei é: “La Costituzione é scritta metà in latino e metà in russo.”
Ribatté per primo Lelio Basso ( ): “Se con questo si vuol dire che il progetto di Costituzione é il frutto di uno sforzo di diversi partiti per trovare un’espressione concorde che rappresenti l’espressione della volontà della grande maggioranza degli Italiani, questo non é un difetto”. E così pure Lussu ( ): “un compromesso fra le classi in una rivoluzione nazionale pacifica”.
Per La Pira, “cercare i punti di contatto, i punti di passaggio, i punti di organizzazione” significava una costruzione comune per soddisfare il bisogno di rifondazione della nazione.
Togliatti, da una parte, lamentava il “deteriore” metodo negoziale (secondo il leader comunista, questo era stato adottato da Ruini in seno al Comitato di Redazione col fine di ampliare il consenso) che aveva annacquato i testi delle sottocommissioni; dall’altra, sosteneva, come Basso, “che la ricerca di far confluire su “un terreno comune” correnti ideologiche e politiche diverse non comportava una mercificazione delle proprie posizioni”.
Il Presidente della Commissione, Meuccio Ruini, espose il proprio pensiero ( ) SULLA QUESTIONE DEL “COMPROMESSO” con grande chiarezza, dimostrando il proprio spessore di politico e di Costituente: “Le grandi idee animatrici debbono accompagnarsi col senso della realtà, della concretezza, delle possibilità effettive, ma la parola «compromesso» grava come un incubo. Vi è una parola che ha aleggiato qui, ed è stata ripetuta come un ritornello: la parola “compromesso”. Vi devo confessare che, nella mia relazione, avevo messo un brano che trovavo molto bello, ma poi l’ho tolto per paura della parola. Che cosa significa in origine compromesso? Vuol dire, che parecchi fanno promessa insieme, assumono un impegno, stipulano un patto; e non c’è nulla di male, ed è necessità elementare di vita. Vi è bensì un senso deteriore, una deformazione che l’onorevole Ghidini ha messo molto bene in luce, ed è il baratto, il mercato, la combinazione oscura di interessi, non d’idee. Per evitare l’equivoco, liberiamoci pure della parola. Cambiamola; parleremo di patto, parleremo d’accordo, parleremo di convergenza di pensiero e di forze sopra punti determinanti.”
I VALORI FONDAMENTALI CHE FONDARONO L’INNEGABILE ACCORDO INTERCORSO TRA LE VARIE FORZE POLITICHE PER GIUNGERE AD UNA COSTITUZIONE DEMOCRATICA E GARANTISTA (FU SU QUESTI PUNTI CHE SI EBBE LA MAGGIORE CONVERGENZA) SONO ESSENZIALMENTE TRE:
a) IL FORTE SENTIMENTO DI DIFESA DELL’UNITÀ NAZIONALE
b) IL RISPETTO PER LA TRADIZIONE RISORGIMENTALE (Infatti, se l’obiettivo primario era certamente raggiungere “unione, pacificazione, concordia” (V. E. Orlando), non era possibile rifondare lo Stato prescindendo dalla struttura dello Stato liberale, che, in quel momento, rappresentava l’unico approccio organizzativo utilizzabile.)
c) LA LOTTA ANTIFASCISTA.
- L’ELEMENTO DI COESIONE: L’ANTIFASCISMO.
Un elemento determinante, dunque, fu l’antifascismo: la principale forza coesiva, la spinta più forte verso le intese.
Quando, in apertura del dibattito, Lucifero propose una Costituzione “afascista” ( ), in nome della riconciliazione nazionale, la risposta dei democristiani e dei comunisti fu chiara la Carta doveva essere “antifascista”. Fu proprio la preoccupazione di evitare il risorgere di nuove esperienze autoritarie a contraddistinguere le intese raggiunte sui valori fondamentali che furono attaccati dal regime (libertà civili e politiche, sovranità popolare, centralità del Parlamento): lo testimoniano gli applausi tributati in aula all’approvazione dei primi due articoli della Costituzione.
[Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.]
Inoltre, la convergenza verso il garantismo sulle libertà fondamentali era una sorta di “ASSICURAZIONE SUL FUTURO”: i maggiori partiti (DC e PCI) cercavano di garantirsi contro il rischio di trovarsi in minoranza una volta terminata l’approvazione della Carta.
Anche altri fattori di aggregazione determinarono il già menzionato “compromesso” alla Costituente e, del resto, come sottolinea lo stesso Presidente dei 75, ciò fa parte della storia umana, della politica e della loro evoluzione: “Ogni Costituzione è un’opera di circostanze più che di logica giuridica. Più spesso è il frutto di transazioni, di compromessi; ma la transazione è lo stato finale dell’opera costituente”.
Su alcune questioni non fu possibile realizzare un accordo ma in molte altre, malgrado le diversità di opinioni sottolineate, anche in Assemblea, dal susseguirsi di voti e controvoti, l’esito finale fu positivo; Ruini evidenziò l’importanza di questo sforzo da parte della classe politica scrivendo: “la nostra Costituzione vivrà in quanto sarà riuscita ad essere, al di fuori dei negoziati consapevoli delle parti, il compromesso richiesto dal momento storico” ( ).
Il primo gennaio 1948 la Costituzione Repubblicana entrò in vigore.
In questo ho dato grande rilievo alla cd. contrapposizione tra le ideologie politiche che hanno animato e dato spessore alla nostra Costituzione, e per concludere sempre riprendendo il pensiero di Bobbio, SULLA CONTRAPPOSIZIONE POLITICA:
‹‹ E’ PROPRIO DELLA CONCEZIONE LIBERALE E DEMOCRATICA DELLA VITA CHE L’ANTAGONISMO TRA I VARI GRUPPI, TRA GLI INTERESSI CONTRAPPOSTI, TRA LE DIVERSE IDEOLOGIE, QUALORA SIA REGOLATO GIURIDICAMENTE IN MODO DA NON GENERARE CONFLITTO VIOLENTO, SIA LA MOLLA DI OGNI PROGRESSO CIVILE. E’ COMPITO DELLA DEMOCRAZIA FAR SI CHE IL PROGRESSO DI UNA NAZIONE NASCA, ANZICHE’ DALL’IMPOSIZIONE AUTORITARIA DI UNA SOLA DOTTRINA, DAL CONTRASTO DI MOLTE ››.
Scritto da Bianca il aprile 20 2007 22:32:200 Commenti · 137 Letture · ·