Mercoledì 14 abbiamo avuto come ospite l’avvocato Marco Ferrero, impegnato nell’associazione Migranti e membro della presidenza delle ACLI.
Il suo discorso si è sviluppato a partire da una domanda posta dal gruppo, ovvero in che misura gli stranieri presenti in Italia possono essere considerati un costo o una risorsa.
Innanzi tutto ci ha posti di fronte al problema di uscire da questo dualismo ed in generale di cercare un approccio al problema guardandolo nella sua complessità, non solo da come viene presentato dai media, che spesso ne danno solo una visione parziale.
Fino ad ora per la legge italiana l’immigrazione è stata considerata un fenomeno da regolare, senza alcun riferimento a quello che può essere l’incontro tra le culture. Sarebbe invece anche da valorizzare la dimensione del progetto individuale e della persona umana.
Tornando al problema dei costi, si è visto che l’immigrazione irregolare può effettivamente portare a delle spese per lo Stato: ad esempio in caso di interventi sanitari urgenti e necessari che sono garantiti ai clandestini; le spese per l’espulsione immediata; i costi di costruzione dei centri di permanenza temporanea. In realtà ci è stato fatto presente che gran parte di queste spese sono coperte da un Fondo costituito con i contributi versati dai lavoratori stranieri che decidono di far ritorno nel Paese di origine e che provvedimenti come l’espulsione immediata (che prevede poi 10 anni di interdizione al rientro in Italia) sono in realtà poco applicati (solo 50% dei casi).
I costi possono essere compensati dal fatto che in un Paese come l’Italia, dove la natalità è molto bassa, ci sia bisogno di manodopera.
Abbiamo quindi parlato del problema della clandestinità, che spesso viene presentato dai media legato solamente alla criminalità.
La legge tratta in maniera uguale tutti i clandestini, sia onesti che disonesti, ovvero prevede l’espulsione immediata o la reclusione nei centri di permanenza temporanea.
Il fatto è che vi è un approccio monolitico al problema senza osservarne le varie sfaccettature.
Spesso viene scelta la strada della clandestinità anche perchè non vi sono altre vie possibili di giungere legalmente in Italia, a causa di problemi burocratici e legislativi. L’unico meccanismo è infatti al “chiamata nominativa”: si suppone che l’imprenditore che ha bisogno di manodopera mandi una richiesta ad uno straniero (che al momento della chiamata deve trovarsi nel Paese natale), il quale può successivamente recarsi all’ambasciata per chiedere il visto di entrata in Italia. Inoltre l’imprenditore potrà richiedere lavoratori stranieri solo il giorno in cui viene pubblicato il “decreto flussi”. L’idea di base è però errata: un imprenditore, specialmente in zone come il Veneto, dove sono presenti piccole aziende in cui vi è uno stretto rapporto tra dipendenti e lavoratori, non andrà certo a richiedere persone che non conosce. Capita così che l’imprenditore scelga il lavoratore clandestino (con rischi penali di entrambe) che si dimostra un buon lavoratore.
Questo approccio errato non è mai stato risolto da nessun governo italiano. Basta pensare che le sanatorie per regolarizzare gli immigrati sono state fatte in media ogni 4 anni; il che ha fatto sì che l’80% degli immigrati sono attualmente regolari grazie a questo provvedimento.
In questi ultimi anni si sta poi verificando un fenomeno interessante: la creazione di associazioni di immigrati per risolvere le proprie esigenze in campo sociale e politico.
Scritto da Bianca il aprile 25 2007 21:40:34
Il suo discorso si è sviluppato a partire da una domanda posta dal gruppo, ovvero in che misura gli stranieri presenti in Italia possono essere considerati un costo o una risorsa.
Innanzi tutto ci ha posti di fronte al problema di uscire da questo dualismo ed in generale di cercare un approccio al problema guardandolo nella sua complessità, non solo da come viene presentato dai media, che spesso ne danno solo una visione parziale.
Fino ad ora per la legge italiana l’immigrazione è stata considerata un fenomeno da regolare, senza alcun riferimento a quello che può essere l’incontro tra le culture. Sarebbe invece anche da valorizzare la dimensione del progetto individuale e della persona umana.
Tornando al problema dei costi, si è visto che l’immigrazione irregolare può effettivamente portare a delle spese per lo Stato: ad esempio in caso di interventi sanitari urgenti e necessari che sono garantiti ai clandestini; le spese per l’espulsione immediata; i costi di costruzione dei centri di permanenza temporanea. In realtà ci è stato fatto presente che gran parte di queste spese sono coperte da un Fondo costituito con i contributi versati dai lavoratori stranieri che decidono di far ritorno nel Paese di origine e che provvedimenti come l’espulsione immediata (che prevede poi 10 anni di interdizione al rientro in Italia) sono in realtà poco applicati (solo 50% dei casi).
I costi possono essere compensati dal fatto che in un Paese come l’Italia, dove la natalità è molto bassa, ci sia bisogno di manodopera.
Abbiamo quindi parlato del problema della clandestinità, che spesso viene presentato dai media legato solamente alla criminalità.
La legge tratta in maniera uguale tutti i clandestini, sia onesti che disonesti, ovvero prevede l’espulsione immediata o la reclusione nei centri di permanenza temporanea.
Il fatto è che vi è un approccio monolitico al problema senza osservarne le varie sfaccettature.
Spesso viene scelta la strada della clandestinità anche perchè non vi sono altre vie possibili di giungere legalmente in Italia, a causa di problemi burocratici e legislativi. L’unico meccanismo è infatti al “chiamata nominativa”: si suppone che l’imprenditore che ha bisogno di manodopera mandi una richiesta ad uno straniero (che al momento della chiamata deve trovarsi nel Paese natale), il quale può successivamente recarsi all’ambasciata per chiedere il visto di entrata in Italia. Inoltre l’imprenditore potrà richiedere lavoratori stranieri solo il giorno in cui viene pubblicato il “decreto flussi”. L’idea di base è però errata: un imprenditore, specialmente in zone come il Veneto, dove sono presenti piccole aziende in cui vi è uno stretto rapporto tra dipendenti e lavoratori, non andrà certo a richiedere persone che non conosce. Capita così che l’imprenditore scelga il lavoratore clandestino (con rischi penali di entrambe) che si dimostra un buon lavoratore.
Questo approccio errato non è mai stato risolto da nessun governo italiano. Basta pensare che le sanatorie per regolarizzare gli immigrati sono state fatte in media ogni 4 anni; il che ha fatto sì che l’80% degli immigrati sono attualmente regolari grazie a questo provvedimento.
In questi ultimi anni si sta poi verificando un fenomeno interessante: la creazione di associazioni di immigrati per risolvere le proprie esigenze in campo sociale e politico.
Scritto da Bianca il aprile 25 2007 21:40:34