Don Albino Bizzotto è venuto a incontrarci e abbiamo ascoltato la sua testimonianza.
Don Albino ha 74 anni ed è sacerdote da 50, è fondatore e presidente dell’associazione “Beati i costruttori di Pace”, fondata nel 1985 a seguito di un viaggio in America Latina, che ha segnato il suo percorso pastorale. Ha cominciato chiedendo di dargli del tu: “Siamo veramente pari e siamo tutti figli allo stesso modo; se capite questo, capite che siamo tutti parte della stessa umanità”. Ha voluto leggere la legalità dal punto di vista della fede: sono il modo che ognuno di noi ha di percepire le cose, la vita a dare senso alla legalità. Non ci sono leggi che non tendano ad essere valide per tutti, ma ci sono quelle che sono scritte per interesse di qualcuno. Da questo punto di vista bisogna pensare l’umanità come relazione alla pari.
Il primo punto che ha voluto evidenziare è che sono tutti i popoli a fare cattolica la Chiesa. Per comprendere questo, ci ha guidati nel suo percorso personale: dall’evoluzione dell’idea di Dio nella Sua Trinità come Figlio che viene e parte dal mondo, come Dio con cui non ci si può misurare, dell’idea della religione come tentativo di relazione con Dio e di guadagnarsi il Paradiso, ci ha catapultato nella visione in cui questo Dio non esiste, perché la realtà delle cose dipende da come Gesù si esprime dentro la nostra vita, perché Gesù si è fatto uomo, carne e relazione, è concreto. Lo Spirito è stato donato a tutti e si esprime attraverso ogni persona e da questo punto di vista Gesù è uomo, non è cristiano, poiché “non ha problemi a farsi rappresentare” da chiunque. Solo scoprendo che con Dio si ha il rapporto più diretto, che Gesù è il luogo della presenza della rivelazione di Dio, si scopre l’essere cristiano. Attraverso la fede si cerca una necessità in Dio, la forza della convivenza. In questo si tocca l’esperienza di ciascuno e il discorso della legalità per un cristiano appare tangibile, perché parte dalla comprensione della relazione che Dio ha stabilito con tutta la creazione. La stessa onnipotenza non esiste come forza, ma come amore: paragonando quest’ultimo a quello di una madre per il figlio, ha rimarcato che nell’amore non comanda nessuno, cambia radicalmente la vita, ci si mette a servizio, si obbedisce. L’obbedienza di Gesù al Padre è la sua completa disposizione, l’obbedienza è al servizio, è darsi come segno vivo in cibo e bevanda per tutti. Richiamando le letture della domenica (Proverbi 8,22-31), don Albino ha sottolineato come la sapienza ha delizia di stare con le cose create da Dio e che se anche l’uomo ne è al vertice, non ne è un giudice, bensì vi si immerge come servizio e ispirazione. Tutto ciò che è legalità è uguaglianza, non come omologazione ma come pari dignità, partecipazione di tutti alla felicità, al disegno di Dio per tutti. I principi di forza e dominanza, la condanna di chi non condivide in nostro pensiero non sono comprensibili in quest’ottica: vediamo la bestialità e la violenza negli altri, ma ciò non risponde al comandamento di Gesù. Non undicesimo, ma nuovo è “Amatevi gli uni gli altri”: se abbiamo detto che nell’amore non si comanda, l’amore è nostra responsabilità. Gesù non dà una legge esterna, ma una responsabilità: nella misura in cui si diventa accoglienti verso gli altri, nella stessa misura si impara a costruire la legge. Non si può non curarsene se è una responsabilità, viene spontaneamente dall’amore che la madre si preoccupi per il figlio. Viviamo in una società che ha bisogno di essere ordinata, ma che non riceve amore: solo una minoranza parla di fede, della buona novella di un amore per tutti. Come Chiesa viviamo un problema di identità: essere cattolici vuol dire che tutti possono comprendere il messaggio di Gesù, che tutti i popoli rendono cattolica la Chiesa. Non si può sequestrare Gesù nell’idea del cattolicesimo come identità, allo stesso modo in cui è necessario essere dentro tutti i popoli per comunicare: l’umanità dell’altro è già glorificazione di Dio, che è felice della realtà umana così come essa è. I nostri punti di riferimento sono personali, singolari ed esistono per tutti: non c’è una grande organizzazione a cui rispondere, ma tanti piccoli casi di vita.
Altro punto che don Albino ha voluto focalizzare è il significato della testimonianza. Gesù si ritirava dalla folla, non ha risposto alle aspettative su di Lui, cercava i più deboli; la buona notizia parte da quelli che non hanno ricevuto uguaglianza e pari dignità. La Chiesa non può porsi come entità sovrana; inizialmente era clandestina e il cristianesimo era la manifestazione di quanto le persone si volessero bene. La costruzione di una struttura gerarchica sta ora venendo meno e aumenta sempre più il bisogno della buona novella per tutte quelle categorie buttate fuori dalla società. Non si può giudicare chi è degno di far parte della Chiesa: partendo dall’esempio della comunione di Luxuria, don Albino ci ha fatto osservare che non è la coscienza pulita a portare gli uomini all’eucarestia, ma è Gesù che in essa li incontra e che è per tutti. Con Gesù il principio è quello dell’amore e non esistono le leggi: nella società, affinché funzioni, vengono stese leggi e sanzioni, entrambe legate a chi le ha create. Lo stato è la società in tutta la sua diversità ed è chiaro che deve garantire che le leggi siano uguali per tutti, che siano rispettate. Il riconoscimento nella Chiesa dei peccatori rende il cristianesimo accogliente e garantisce l’uguaglianza; in questo senso il rispetto della legge viene dall’accoglienza delle persone. Da qui don Albino ci ha introdotti al problema della legalità nella forma del dare lavoro alle classi sociali più esposte al rifiuto: Rom, Sinti, immigrati. Non hanno niente che li renda incontrabili e vivono di carità, perché nessuno vuole farli lavorare. L’analfabetismo e l’emarginazione sociale rendono la burocrazia difficile, una partita IVA, una dichiarazione ISEE, uno stato di famiglia, una carta di disoccupazione diventano ostacoli, ma queste sono realtà difficili da comprendere finché non si entra nelle loro singole storie. A questo l’associazione prova a rispondere con centinaia di borse spesa per le famiglie e con la ricerca di un lavoro, in modo che possano rendersi autonomi. Occorre una redistribuzione del lavoro e non del reddito poiché i ceti sociali meno abbienti non possono pagare le tasse se non hanno lavoro; questa catena altrimenti risulta essere un accattonaggio sociale. Inoltre spesso il servizio che l’associazione offre va a compensare i fondi carenti di altre, come la Caritas, che anche non riesce a coprire i bisogni per i poveri. Da questo punto di vista non c’è organizzazione, ma effettivamente pensare a un cumulativo di tutte le tasse da pagare diventa una cifra ingente. Citando don Milani, la legge dovrebbe onorare i poveri e non emarginarli; invece ciò è la manifestazione di quanto sia vero che senza soldi non si ha la dignità di essere come gli altri. Da questo punto di vista si può prendere come stimolo un’argomentazione della laicità dello Stato e della posizione della Chiesa.
Infine ha richiamato ancora alle parole di Gesù per attualizzare: chi ne mangia la carne e beve il suo sangue ha la vita eterna, adesso. Tutto ciò che facciamo volendo bene è vita eterna, dove “eterna” ne indica la festa, la grandezza. Bisogna predisporsi all’ascolto. Gesù non si manifesta come forza: il motivo per cui non appare è che attende l’amore; chi è mai rimasto pentito di riporre fiducia in Gesù? Ascoltandolo, dandogli fiducia, Lui si manifesta.
Alla domanda di come testimoniare Gesù a chi non è disposto ad ascoltarlo, ha risposto dicendo che la vita è negli uomini e non la verità, che non siamo chiamati a mostrare l’identità; piuttosto, poiché Dio non ha estranei, la nostra ortodossia sta nel fare la verità, non nell’esserlo. La speranza sia resa a chi la chiede, perché non sia inutile. Inoltre al fatto che questo modo di vedere le cose sia una ricerca di benessere estranea, lontana, nuova e che tante volte scomodarsi per queste non sia facile ha contrapposto i condizionamenti di ciascuno, la visione della vita come qualcosa di importante, del mondo come relazione e come essere vivente. È sufficiente non trattare ciò che ci circonda come una proprietà privata, avere rispetto: la volontà di agire a beneficio di qualcuno deve nascere spontanea e bisogna darsi il tempo affinché arrivi. La coscienza si rivela, purché la lettura dell’intercessione divina non sia il mero affidamento a Dio, ma la disponibilità ad agire se necessario, sempre perché Dio non è forza. Bisogna “fermare la notizia” e poi si entra nel merito delle azioni. Infine, è giusto pensare la propria azione con responsabilità e ponderare le capacità che si hanno per affrontare la realtà. Fare pace non vuol dire essere schierati, ma affrontare il nemico è necessario per trovare i punti in cui si riesce a stare insieme: bisogna manifestare la propria opinione. La legalità è il superamento delle nostre contraddizioni, è dinamica, richiede carica ed energia.
NOTE TECNICHE:
-Durante l’incontro don Albino ci ha proposto la lettura di Enzo Bianchi “La differenza cristiana”.
-Occorrono persone disponibili per l’11 e 12 maggio per l’orientamento all’università: gli interessati si rivolgano ai presidenti.
Don Albino ha 74 anni ed è sacerdote da 50, è fondatore e presidente dell’associazione “Beati i costruttori di Pace”, fondata nel 1985 a seguito di un viaggio in America Latina, che ha segnato il suo percorso pastorale. Ha cominciato chiedendo di dargli del tu: “Siamo veramente pari e siamo tutti figli allo stesso modo; se capite questo, capite che siamo tutti parte della stessa umanità”. Ha voluto leggere la legalità dal punto di vista della fede: sono il modo che ognuno di noi ha di percepire le cose, la vita a dare senso alla legalità. Non ci sono leggi che non tendano ad essere valide per tutti, ma ci sono quelle che sono scritte per interesse di qualcuno. Da questo punto di vista bisogna pensare l’umanità come relazione alla pari.
Il primo punto che ha voluto evidenziare è che sono tutti i popoli a fare cattolica la Chiesa. Per comprendere questo, ci ha guidati nel suo percorso personale: dall’evoluzione dell’idea di Dio nella Sua Trinità come Figlio che viene e parte dal mondo, come Dio con cui non ci si può misurare, dell’idea della religione come tentativo di relazione con Dio e di guadagnarsi il Paradiso, ci ha catapultato nella visione in cui questo Dio non esiste, perché la realtà delle cose dipende da come Gesù si esprime dentro la nostra vita, perché Gesù si è fatto uomo, carne e relazione, è concreto. Lo Spirito è stato donato a tutti e si esprime attraverso ogni persona e da questo punto di vista Gesù è uomo, non è cristiano, poiché “non ha problemi a farsi rappresentare” da chiunque. Solo scoprendo che con Dio si ha il rapporto più diretto, che Gesù è il luogo della presenza della rivelazione di Dio, si scopre l’essere cristiano. Attraverso la fede si cerca una necessità in Dio, la forza della convivenza. In questo si tocca l’esperienza di ciascuno e il discorso della legalità per un cristiano appare tangibile, perché parte dalla comprensione della relazione che Dio ha stabilito con tutta la creazione. La stessa onnipotenza non esiste come forza, ma come amore: paragonando quest’ultimo a quello di una madre per il figlio, ha rimarcato che nell’amore non comanda nessuno, cambia radicalmente la vita, ci si mette a servizio, si obbedisce. L’obbedienza di Gesù al Padre è la sua completa disposizione, l’obbedienza è al servizio, è darsi come segno vivo in cibo e bevanda per tutti. Richiamando le letture della domenica (Proverbi 8,22-31), don Albino ha sottolineato come la sapienza ha delizia di stare con le cose create da Dio e che se anche l’uomo ne è al vertice, non ne è un giudice, bensì vi si immerge come servizio e ispirazione. Tutto ciò che è legalità è uguaglianza, non come omologazione ma come pari dignità, partecipazione di tutti alla felicità, al disegno di Dio per tutti. I principi di forza e dominanza, la condanna di chi non condivide in nostro pensiero non sono comprensibili in quest’ottica: vediamo la bestialità e la violenza negli altri, ma ciò non risponde al comandamento di Gesù. Non undicesimo, ma nuovo è “Amatevi gli uni gli altri”: se abbiamo detto che nell’amore non si comanda, l’amore è nostra responsabilità. Gesù non dà una legge esterna, ma una responsabilità: nella misura in cui si diventa accoglienti verso gli altri, nella stessa misura si impara a costruire la legge. Non si può non curarsene se è una responsabilità, viene spontaneamente dall’amore che la madre si preoccupi per il figlio. Viviamo in una società che ha bisogno di essere ordinata, ma che non riceve amore: solo una minoranza parla di fede, della buona novella di un amore per tutti. Come Chiesa viviamo un problema di identità: essere cattolici vuol dire che tutti possono comprendere il messaggio di Gesù, che tutti i popoli rendono cattolica la Chiesa. Non si può sequestrare Gesù nell’idea del cattolicesimo come identità, allo stesso modo in cui è necessario essere dentro tutti i popoli per comunicare: l’umanità dell’altro è già glorificazione di Dio, che è felice della realtà umana così come essa è. I nostri punti di riferimento sono personali, singolari ed esistono per tutti: non c’è una grande organizzazione a cui rispondere, ma tanti piccoli casi di vita.
Altro punto che don Albino ha voluto focalizzare è il significato della testimonianza. Gesù si ritirava dalla folla, non ha risposto alle aspettative su di Lui, cercava i più deboli; la buona notizia parte da quelli che non hanno ricevuto uguaglianza e pari dignità. La Chiesa non può porsi come entità sovrana; inizialmente era clandestina e il cristianesimo era la manifestazione di quanto le persone si volessero bene. La costruzione di una struttura gerarchica sta ora venendo meno e aumenta sempre più il bisogno della buona novella per tutte quelle categorie buttate fuori dalla società. Non si può giudicare chi è degno di far parte della Chiesa: partendo dall’esempio della comunione di Luxuria, don Albino ci ha fatto osservare che non è la coscienza pulita a portare gli uomini all’eucarestia, ma è Gesù che in essa li incontra e che è per tutti. Con Gesù il principio è quello dell’amore e non esistono le leggi: nella società, affinché funzioni, vengono stese leggi e sanzioni, entrambe legate a chi le ha create. Lo stato è la società in tutta la sua diversità ed è chiaro che deve garantire che le leggi siano uguali per tutti, che siano rispettate. Il riconoscimento nella Chiesa dei peccatori rende il cristianesimo accogliente e garantisce l’uguaglianza; in questo senso il rispetto della legge viene dall’accoglienza delle persone. Da qui don Albino ci ha introdotti al problema della legalità nella forma del dare lavoro alle classi sociali più esposte al rifiuto: Rom, Sinti, immigrati. Non hanno niente che li renda incontrabili e vivono di carità, perché nessuno vuole farli lavorare. L’analfabetismo e l’emarginazione sociale rendono la burocrazia difficile, una partita IVA, una dichiarazione ISEE, uno stato di famiglia, una carta di disoccupazione diventano ostacoli, ma queste sono realtà difficili da comprendere finché non si entra nelle loro singole storie. A questo l’associazione prova a rispondere con centinaia di borse spesa per le famiglie e con la ricerca di un lavoro, in modo che possano rendersi autonomi. Occorre una redistribuzione del lavoro e non del reddito poiché i ceti sociali meno abbienti non possono pagare le tasse se non hanno lavoro; questa catena altrimenti risulta essere un accattonaggio sociale. Inoltre spesso il servizio che l’associazione offre va a compensare i fondi carenti di altre, come la Caritas, che anche non riesce a coprire i bisogni per i poveri. Da questo punto di vista non c’è organizzazione, ma effettivamente pensare a un cumulativo di tutte le tasse da pagare diventa una cifra ingente. Citando don Milani, la legge dovrebbe onorare i poveri e non emarginarli; invece ciò è la manifestazione di quanto sia vero che senza soldi non si ha la dignità di essere come gli altri. Da questo punto di vista si può prendere come stimolo un’argomentazione della laicità dello Stato e della posizione della Chiesa.
Infine ha richiamato ancora alle parole di Gesù per attualizzare: chi ne mangia la carne e beve il suo sangue ha la vita eterna, adesso. Tutto ciò che facciamo volendo bene è vita eterna, dove “eterna” ne indica la festa, la grandezza. Bisogna predisporsi all’ascolto. Gesù non si manifesta come forza: il motivo per cui non appare è che attende l’amore; chi è mai rimasto pentito di riporre fiducia in Gesù? Ascoltandolo, dandogli fiducia, Lui si manifesta.
Alla domanda di come testimoniare Gesù a chi non è disposto ad ascoltarlo, ha risposto dicendo che la vita è negli uomini e non la verità, che non siamo chiamati a mostrare l’identità; piuttosto, poiché Dio non ha estranei, la nostra ortodossia sta nel fare la verità, non nell’esserlo. La speranza sia resa a chi la chiede, perché non sia inutile. Inoltre al fatto che questo modo di vedere le cose sia una ricerca di benessere estranea, lontana, nuova e che tante volte scomodarsi per queste non sia facile ha contrapposto i condizionamenti di ciascuno, la visione della vita come qualcosa di importante, del mondo come relazione e come essere vivente. È sufficiente non trattare ciò che ci circonda come una proprietà privata, avere rispetto: la volontà di agire a beneficio di qualcuno deve nascere spontanea e bisogna darsi il tempo affinché arrivi. La coscienza si rivela, purché la lettura dell’intercessione divina non sia il mero affidamento a Dio, ma la disponibilità ad agire se necessario, sempre perché Dio non è forza. Bisogna “fermare la notizia” e poi si entra nel merito delle azioni. Infine, è giusto pensare la propria azione con responsabilità e ponderare le capacità che si hanno per affrontare la realtà. Fare pace non vuol dire essere schierati, ma affrontare il nemico è necessario per trovare i punti in cui si riesce a stare insieme: bisogna manifestare la propria opinione. La legalità è il superamento delle nostre contraddizioni, è dinamica, richiede carica ed energia.
NOTE TECNICHE:
-Durante l’incontro don Albino ci ha proposto la lettura di Enzo Bianchi “La differenza cristiana”.
-Occorrono persone disponibili per l’11 e 12 maggio per l’orientamento all’università: gli interessati si rivolgano ai presidenti.