Incontro sul tema: legalità.
Mercoledì 10 aprile 2013, ore 18.30.
Dopo alcune considerazioni di don Marco circa l’importanza delle proprie convinzioni, del portarle avanti, del sapersi confrontare su di esse con chiunque, del “fare la fatica di pensare, di non perdere ottimismo e di cercare in profondità”, l’incontro si è aperto con una preghiera.
Dal Vangelo (Gv 3, 16-21) e dal commento di “Dall’alba al tramonto” (n. aprile 2013), abbiamo evidenziato la necessità naturale dell’uomo di cercare la luce, di volere la Verità.
Concluso il momento di preghiera, abbiamo accolto Martina con un giro di presentazioni e date alcune note tecniche: per il congresso di Rimini entro il 17 aprile i partecipanti cerchino di portare l’acconto di 50 euro, in modo da poter effettuare il bonifico; venerdì 12 aprile alle 20.45 in via Curtatone e Montanare si terrà un dibattito sull’esito delle elezioni, sulle responsabilità e sul ruolo dei credenti nello scenario politico.
Per Mercoledì prossimo (17 aprile), invece, avremo come ospite un padre Mercedario. L’ordine di Santa Maria della Mercede nasce a Barcellona nel 1218 con l’intento di liberare gli schiavi cristiani dai musulmani. Dopo anni di apostolato missionario, a seguito del Concilio Vaticano II, l’ordine ha ripreso lo spirito fondatore di Pietro Nolasco, contrastando le schiavitù odierne dell’uomo, sia in ambito sociale, sia in quello politico, sia in quello psicologico. Il padre che verrà a trovarci opera presso O.A.S.I. (Opera Assistenza Scarcerati Italiani), una comunità di accoglienza per detenuti in permesso premio e in misura alternativa alla detenzione.
In preparazione a questo incontro abbiamo proposto delle domande da porgli: uno schema di quelle proposte è in elenco.
Abbiamo poi letto il Comunicato pubblicato sulla Nazione di Firenze del 12 febbraio 1965 dei cappellani militari e la lettera di don Lorenzo Milani in risposta al comunicato(1965). Si consiglia non avendo fatto in tempo, di leggere anche la lettera ai Giudici. La riflessione voleva suscitare l’importanza del rispetto della legge in modo critico, del sapere distinguere, al di là della norma e del comando, cosa è giusto e cosa la coscienza chiede. Sviluppando l’idea di obbedienza e di giuramento, ci si è soffermati su quanto e su come possa un arruolato fare obiezione di coscienza: aderire al regolamento richiede di essere solo macchine esecutive? Può l’uomo n quanto tale smettere di eseguire un ordine, se anche ha sottoposto la propria volontà al regolamento? La coscienza del proprio giuramento in che misura influisce sulla coscienza delle proprie azioni? Identificare l’obiezione di coscienza come viltà è riduttivo e, anzi, impone la passività delle scelte. Anteporre il proprio pensiero e disubbidire devono per legge avere i suoi effetti; essere in grado di prendere le conseguenze di una scelta, che si tratti di un processo o di una condanna, è simbolo di un’obiezione di coscienza motivata (per cui non per forza un obiettore è disertore). Come si distingue il giusto dal dovere? Il filtro ultimo della sensibilità è dentro di noi: quanto ha senso appiattirsi a vivere ciò che il mondo chiede di eseguire? Si propone la lettura di “La banalità del male” di Hannah Arendt. Infine un ampliamento del tema di guerra a quello dell’etica in generale ha completato le questioni: ci sono dei limiti per la ricerca scientifica? C’è un limite d’azione nel rispetto della vita umana? L’obiezione di coscienza nella propria professione è la garanzia della libertà di pensiero: il fatto che qualcun altro nella moltitudine di professionisti possa scegliere di agire e di non opporsi a ciò che riteniamo immorale consente ad una nazione che vengano tutelate anche le norme di tipo etico, come ad esempio quelle sull’aborto. Non sempre ciò che è legale coincide con quello che pensiamo sia accettabile e la condivisione di una legge è ben distante dalla sua esecuzione: si può essere liberi di non eseguire una richiesta, rassicurati dal fatto che qualcun altro svolgerà il nostro compito?
Mercoledì 10 aprile 2013, ore 18.30.
Dopo alcune considerazioni di don Marco circa l’importanza delle proprie convinzioni, del portarle avanti, del sapersi confrontare su di esse con chiunque, del “fare la fatica di pensare, di non perdere ottimismo e di cercare in profondità”, l’incontro si è aperto con una preghiera.
Dal Vangelo (Gv 3, 16-21) e dal commento di “Dall’alba al tramonto” (n. aprile 2013), abbiamo evidenziato la necessità naturale dell’uomo di cercare la luce, di volere la Verità.
Concluso il momento di preghiera, abbiamo accolto Martina con un giro di presentazioni e date alcune note tecniche: per il congresso di Rimini entro il 17 aprile i partecipanti cerchino di portare l’acconto di 50 euro, in modo da poter effettuare il bonifico; venerdì 12 aprile alle 20.45 in via Curtatone e Montanare si terrà un dibattito sull’esito delle elezioni, sulle responsabilità e sul ruolo dei credenti nello scenario politico.
Per Mercoledì prossimo (17 aprile), invece, avremo come ospite un padre Mercedario. L’ordine di Santa Maria della Mercede nasce a Barcellona nel 1218 con l’intento di liberare gli schiavi cristiani dai musulmani. Dopo anni di apostolato missionario, a seguito del Concilio Vaticano II, l’ordine ha ripreso lo spirito fondatore di Pietro Nolasco, contrastando le schiavitù odierne dell’uomo, sia in ambito sociale, sia in quello politico, sia in quello psicologico. Il padre che verrà a trovarci opera presso O.A.S.I. (Opera Assistenza Scarcerati Italiani), una comunità di accoglienza per detenuti in permesso premio e in misura alternativa alla detenzione.
In preparazione a questo incontro abbiamo proposto delle domande da porgli: uno schema di quelle proposte è in elenco.
- tempo medio di vita comunitaria di un ex detenuto
- rapporto con le aziende per il lavoro e valutazione dei curricula
- OASI come libera scelta, come percorso consigliato o come passaggio obbligato
- guida successiva alla permanenza in comunità
- trattamento dei casi di ricaduta
- proposta della fede come nuovo punto di vista (quale carisma)
- motivazioni personali (psicologiche e spirituali) alla Mercede
- prospettive di cambiamento e influenza all’interno di un carcere con l’attività
- formazione lavorativa, elementi ed attività per il recupero: proposta di lavoro, di fede…
- peso, efficienza di tali attività sulla riuscita del recupero
- assistenza ai soli cristiani, ai richiedenti o indistinta e proposta
- influenza degli altri detenuti e dell’ambiente sulle idee del carcerato
- assistenza alle famiglie o all’ambiente di appartenenza del detenuto
- quali strutture, sufficienza
- scelta libera o condizionata del posto di lavoro successivo
- realtà come OASI non cristiane
Abbiamo poi letto il Comunicato pubblicato sulla Nazione di Firenze del 12 febbraio 1965 dei cappellani militari e la lettera di don Lorenzo Milani in risposta al comunicato(1965). Si consiglia non avendo fatto in tempo, di leggere anche la lettera ai Giudici. La riflessione voleva suscitare l’importanza del rispetto della legge in modo critico, del sapere distinguere, al di là della norma e del comando, cosa è giusto e cosa la coscienza chiede. Sviluppando l’idea di obbedienza e di giuramento, ci si è soffermati su quanto e su come possa un arruolato fare obiezione di coscienza: aderire al regolamento richiede di essere solo macchine esecutive? Può l’uomo n quanto tale smettere di eseguire un ordine, se anche ha sottoposto la propria volontà al regolamento? La coscienza del proprio giuramento in che misura influisce sulla coscienza delle proprie azioni? Identificare l’obiezione di coscienza come viltà è riduttivo e, anzi, impone la passività delle scelte. Anteporre il proprio pensiero e disubbidire devono per legge avere i suoi effetti; essere in grado di prendere le conseguenze di una scelta, che si tratti di un processo o di una condanna, è simbolo di un’obiezione di coscienza motivata (per cui non per forza un obiettore è disertore). Come si distingue il giusto dal dovere? Il filtro ultimo della sensibilità è dentro di noi: quanto ha senso appiattirsi a vivere ciò che il mondo chiede di eseguire? Si propone la lettura di “La banalità del male” di Hannah Arendt. Infine un ampliamento del tema di guerra a quello dell’etica in generale ha completato le questioni: ci sono dei limiti per la ricerca scientifica? C’è un limite d’azione nel rispetto della vita umana? L’obiezione di coscienza nella propria professione è la garanzia della libertà di pensiero: il fatto che qualcun altro nella moltitudine di professionisti possa scegliere di agire e di non opporsi a ciò che riteniamo immorale consente ad una nazione che vengano tutelate anche le norme di tipo etico, come ad esempio quelle sull’aborto. Non sempre ciò che è legale coincide con quello che pensiamo sia accettabile e la condivisione di una legge è ben distante dalla sua esecuzione: si può essere liberi di non eseguire una richiesta, rassicurati dal fatto che qualcun altro svolgerà il nostro compito?