Dopo le presentazioni e l’accoglienza a Gianluca Ravazzolo, sono stati relazionati in breve al gruppo, l’assemblea regionale a Treviso e l’incontro del Papa a Roma con gli universitari.
Successivamente Marco Ovidi ha presentato gli argomenti del Consiglio Centrale circa la VI settimana dell’università, la quale in decine di atenei si è manifestata con conferenze, cineforum od ogni genere di evento pubblico che consentisse la proposta di un tema culturale. Il tema dell’evento “Internazionalizzazione degli studi e Universalità del Sapere” è stato deciso per soddisfare all’esigenza nata nel congresso di discutere sull’Europa, sulla cultura di cittadini europei, sull’integrazione. L’universalità dei saperi è stata intesa come la discussione sulla competitività in Europa, sul rischio della perdita dell’obbiettivo primo di una formazione delle persone con una visione ampia, proiettate verso il futuro, perché gli studi non siano troppo parcellizzati e autoreferenziali. In seguito sono stati distribuiti i due testi scritti dal consigli centrale, di cui uno sul Processo di Bologna, concentrato sull’internazionalizzazione degli studi, e l’altro più filosofico, sull’Universalità dei saperi. I testi sono stati resi disponibili a tutti. Marco O. ha commentato il primo, scritto da lui, dicendo che tanti processi di trasformazione dell’università sono guidati da enti di coordinamento europeo, anche se non se ne conosce addirittura l’esistenza, e che argomenti di interesse classici sono l’uniformazione ad uno standard, il controllo della qualità e il confronto di questa tra le varie università. Per il secondo invece ha voluto sottolineare l'importanza di non accontentarsi del particolare, di formare in modo ampio la propria visione.
In seguito in una riflessione di gruppo Mirjam ha detto di essersi sentita estraniata, sia nel primo testo, in cui non riusciva a capire fino a che punto il suo livello di interesse al coordinamento europeo fosse autentico rispetto alla posizione che ha il suo studio personale nella società, sia nel secondo testo, in cui la curiosità stessa e la volontà stessa di sapere sono effettivamente limitate e non consentono una presa di posizione relativamente al proprio ruolo nella società. Marco F. ha invece ritenuto piu' concreto il primo testo rispetto al secondo, vedendo anche nella prima citazione del processo data nel testo uno spunto importante nell'insostituibilità degli studi per la crescita, che negli ultimi anni è stato perso e che invece è molto vicino al percorso fucino. Si è soffermato sulla figura del secchione per fare un confronto con gli altri stati europei, i quali non elogiano la furbizia quanto quello italiano e dai quali si porebbe prendere esempio per un cambiamento. Giorgio invece ha ritenuto il testo sull'universalità del sapere maggiormente elastico, con una prospettiva ampia e ricco di spunti, forse dovuto al fatto che ognuno possa leggere tra le righe quello che vuole. Per il primo ha invece voluto fare una osservazione tecnica, riguarda alla veridicità dei dati su cui poggia la tesi del processo: i test della valutazione delle conoscenze negli altri stati vengono eseguiti previa preparazione specifica, mentre in Italia non avviene e, nonostante sia la prima volta che l'università partecipa a questo confronto, il risultato potrebbe essere dubbio. Si è quindi discusso sull'effettiva graduatoria delle scuole, su quanto l'economia ifluisca sui dati, sugli enti, come OCSE, ANVUR e PISA, che li gestiscono, fino a trarre una riflessione sull'idea di conoscenza e competenza. Giacomo infatti ha voluto ampliare il discorso sulla ricerca, su quanto gli studenti effettivamente facciano ricerca. Spesso non c'è confronto, non c'è passione e questo è dovuto al bisogno primario di arrivare con il proprio studio all'assicurazione di un lavoro. Accennando alla sua esperienza personale, si chiede quanto le “belle parole” siano utili e abbiano uno scopo, a quanto queste facciano conoscenza. La conoscenza per lui deve avere un assetto sociale per poter essere instaurata, una condizione in cui si possa studiare senza l'obiettivo primo del sostentamento. Da qui ci si è chiesti di come lo studente medio vive l'universita', e in quali condizioni questa viene vissuta bene. Chiara T., parlando sempre del suo caso, ha parlato della raccomandazione e della brillantezza all'interno della vita universitaria, in cui studiare con passione rischia di diventare una consolazione e non una spinta maggiore, a causa della mancanza di un'occupazione possibile. Giacomo ha puntualizzato che dello studio sia il merito e la sua premiazione, sia la passione non fine a se stessa sono argomenti importanti e validi spunti per una discussione. Non è infatti solo questo a rendere liberi, non solo il piacere, ma l'effettivo e il pratico uso del proprio studio. Mirjam osservato che infatti a volte esiste sia lo studio per un passaggio obbligato per raggiungere uno scopo ultimo, sia quello stazionario di chi con poca motivazione si iscrive in un corso di studi. Marco F. ha richiamato alla memoria un incontro tenuto negli anni passati, intitolato “studiare conviene?” che potrebbe rispondere a queste domande. Alberto ha voluto recuperare il percorso, dicendo che sono esperienze personali, e che nella sua gli studenti vengono cercati, la cratività viene premiata, le aziende cercano lavoratori e stimolano incontri: un punto di vista a volte basta volerlo avere. Chiaramente poi esistono anche gli studenti immotivati, ma quelli che lo sono hanno un premio. Davide, d'accordo con lui, ha parlato del percorso erasmus, come una svolta verso l'Europa: gli studenti devono uscire dalla massa, devono amare il proprio percorso. Bisogna sperare negli studenti. Sonia fa notare che spesso il biglietto di visita, almeno per quanto rigurada l'Italia, la presentazione contano maggiormente rispetto alle reali competenze e Maddalena, richiamando il secondo testo, ha ricordato la necessità di una cultura di base, quella base generale a cui tutti dovrebbero poter rispondere e desiderare.
L'incontro molto partecipato continuerà nel prossimo appuntamento sul percorso universitario, per dare a tutti i partecipanti, 27 nella data, di dare una propria opinione in merito.
Successivamente Marco Ovidi ha presentato gli argomenti del Consiglio Centrale circa la VI settimana dell’università, la quale in decine di atenei si è manifestata con conferenze, cineforum od ogni genere di evento pubblico che consentisse la proposta di un tema culturale. Il tema dell’evento “Internazionalizzazione degli studi e Universalità del Sapere” è stato deciso per soddisfare all’esigenza nata nel congresso di discutere sull’Europa, sulla cultura di cittadini europei, sull’integrazione. L’universalità dei saperi è stata intesa come la discussione sulla competitività in Europa, sul rischio della perdita dell’obbiettivo primo di una formazione delle persone con una visione ampia, proiettate verso il futuro, perché gli studi non siano troppo parcellizzati e autoreferenziali. In seguito sono stati distribuiti i due testi scritti dal consigli centrale, di cui uno sul Processo di Bologna, concentrato sull’internazionalizzazione degli studi, e l’altro più filosofico, sull’Universalità dei saperi. I testi sono stati resi disponibili a tutti. Marco O. ha commentato il primo, scritto da lui, dicendo che tanti processi di trasformazione dell’università sono guidati da enti di coordinamento europeo, anche se non se ne conosce addirittura l’esistenza, e che argomenti di interesse classici sono l’uniformazione ad uno standard, il controllo della qualità e il confronto di questa tra le varie università. Per il secondo invece ha voluto sottolineare l'importanza di non accontentarsi del particolare, di formare in modo ampio la propria visione.
In seguito in una riflessione di gruppo Mirjam ha detto di essersi sentita estraniata, sia nel primo testo, in cui non riusciva a capire fino a che punto il suo livello di interesse al coordinamento europeo fosse autentico rispetto alla posizione che ha il suo studio personale nella società, sia nel secondo testo, in cui la curiosità stessa e la volontà stessa di sapere sono effettivamente limitate e non consentono una presa di posizione relativamente al proprio ruolo nella società. Marco F. ha invece ritenuto piu' concreto il primo testo rispetto al secondo, vedendo anche nella prima citazione del processo data nel testo uno spunto importante nell'insostituibilità degli studi per la crescita, che negli ultimi anni è stato perso e che invece è molto vicino al percorso fucino. Si è soffermato sulla figura del secchione per fare un confronto con gli altri stati europei, i quali non elogiano la furbizia quanto quello italiano e dai quali si porebbe prendere esempio per un cambiamento. Giorgio invece ha ritenuto il testo sull'universalità del sapere maggiormente elastico, con una prospettiva ampia e ricco di spunti, forse dovuto al fatto che ognuno possa leggere tra le righe quello che vuole. Per il primo ha invece voluto fare una osservazione tecnica, riguarda alla veridicità dei dati su cui poggia la tesi del processo: i test della valutazione delle conoscenze negli altri stati vengono eseguiti previa preparazione specifica, mentre in Italia non avviene e, nonostante sia la prima volta che l'università partecipa a questo confronto, il risultato potrebbe essere dubbio. Si è quindi discusso sull'effettiva graduatoria delle scuole, su quanto l'economia ifluisca sui dati, sugli enti, come OCSE, ANVUR e PISA, che li gestiscono, fino a trarre una riflessione sull'idea di conoscenza e competenza. Giacomo infatti ha voluto ampliare il discorso sulla ricerca, su quanto gli studenti effettivamente facciano ricerca. Spesso non c'è confronto, non c'è passione e questo è dovuto al bisogno primario di arrivare con il proprio studio all'assicurazione di un lavoro. Accennando alla sua esperienza personale, si chiede quanto le “belle parole” siano utili e abbiano uno scopo, a quanto queste facciano conoscenza. La conoscenza per lui deve avere un assetto sociale per poter essere instaurata, una condizione in cui si possa studiare senza l'obiettivo primo del sostentamento. Da qui ci si è chiesti di come lo studente medio vive l'universita', e in quali condizioni questa viene vissuta bene. Chiara T., parlando sempre del suo caso, ha parlato della raccomandazione e della brillantezza all'interno della vita universitaria, in cui studiare con passione rischia di diventare una consolazione e non una spinta maggiore, a causa della mancanza di un'occupazione possibile. Giacomo ha puntualizzato che dello studio sia il merito e la sua premiazione, sia la passione non fine a se stessa sono argomenti importanti e validi spunti per una discussione. Non è infatti solo questo a rendere liberi, non solo il piacere, ma l'effettivo e il pratico uso del proprio studio. Mirjam osservato che infatti a volte esiste sia lo studio per un passaggio obbligato per raggiungere uno scopo ultimo, sia quello stazionario di chi con poca motivazione si iscrive in un corso di studi. Marco F. ha richiamato alla memoria un incontro tenuto negli anni passati, intitolato “studiare conviene?” che potrebbe rispondere a queste domande. Alberto ha voluto recuperare il percorso, dicendo che sono esperienze personali, e che nella sua gli studenti vengono cercati, la cratività viene premiata, le aziende cercano lavoratori e stimolano incontri: un punto di vista a volte basta volerlo avere. Chiaramente poi esistono anche gli studenti immotivati, ma quelli che lo sono hanno un premio. Davide, d'accordo con lui, ha parlato del percorso erasmus, come una svolta verso l'Europa: gli studenti devono uscire dalla massa, devono amare il proprio percorso. Bisogna sperare negli studenti. Sonia fa notare che spesso il biglietto di visita, almeno per quanto rigurada l'Italia, la presentazione contano maggiormente rispetto alle reali competenze e Maddalena, richiamando il secondo testo, ha ricordato la necessità di una cultura di base, quella base generale a cui tutti dovrebbero poter rispondere e desiderare.
L'incontro molto partecipato continuerà nel prossimo appuntamento sul percorso universitario, per dare a tutti i partecipanti, 27 nella data, di dare una propria opinione in merito.