Mercoledì 18 dicembre 2013, ore 18.30
Percorso spirituale
Abbiamo aperto l’incontro con la lettura del Vangelo del giorno, Mt 1, 18-25. Don Andrea ha commentato con due osservazioni: la prima con un collegamento alla lettera ai Corinzi è stata sulla fantasia di Dio, che fa accadere cose inspiegabili alla ragione e che nella vita ordinaria porta la vita e la creatività; la seconda è stata sulla missione affidata a Giuseppe di “dare un nome” al figlio, chiamata che tutti abbiamo, che illuminati dalla fede diamo un nome alle cose che ci accadono e riusciamo a creare uno spazio per il pensiero a Dio.
Il gruppo ha poi pregato insieme il Padre Nostro e poi don Andrea ha ripreso la lectio su San Paolo, proponendo prima un richiamo degli elementi della volta precedente e poi la lettura e il commento della lettera ai Corinzi, iniziando dal sesto versetto del 2° capitolo fino alla fine del 4°.
Don Andrea ha ricordato il concetto dell’annuncio della croce come argomento banale agli occhi della sapienza del mondo e al contrario come questo porti chi crede nella bella notizia del Suo Amore a ricevere la potenza della vita da salvati, poiché agli occhi di Dio tutti lo siamo, ma che solo il vivere da salvati può consentire la pienezza. Uno sforzo razionale non può capire, poiché solo gli strumenti umili e deboli nell’ottica del mondo a conquistare la nostra vita, perché nelle Sue mani aprono la possibilità di vivere in modo nuovo. San Paolo lo sostiene dicendo che la prova di questo amore sono proprio le persone, i Corinzi, che credono in Cristo, e la conversione e la predicazione di lui stesso; inoltre si riconosce come strumento di Dio, umile servitore.
Qui cominciando la lettura si risale al motivo per cui San Paolo scrive la lettera: i Corinzi si sono divisi a causa delle loro guide, per un litigio circa l’importanza dei predicatori come Apollo e Paolo stesso e circa la sequela conseguente. Facendo un esempio della spettacolarità della persona che rappresenta papa Francesco I, ha sottolineato che un predicatore vuole portare a Cristo. Riprendendo il concetto dell’annuncio di Cristo come scandalo per la sapienza di questo mondo, ha rimarcato la presenza di due tipi di sapienza: quella del mondo appunto e quella di Dio. Lui prepara la sapienza per chi lo ama, per chi entra nel Suo Amore, nella relazione con Lui. La fiducia in Lui solo può indurre la sapienza di Dio ed essa non può essere dominata dal mondo. Lo Spirito rivela a noi stessi la nostra vita: lungo il suo corso, non ci conosciamo mai pienamente, ma in noi fa chiarezza la nostra parte spirituale, la nostra intimità è lo Spirito che abita in noi. Anche Dio stesso si conosce per mezzo della Spirito, che è la sua intimità. Questo può sembrare folle all’uomo, ma sono la sua stessa razionalità, la sua stessa sapienza, la brama di successo e l’ottica del mondo, che sono una parte di lui, a pensarsi “un padre eterno”. In ognuno vivono due forze contrapposte che tendono al corpo e allo spirito, e il fascino del mondo seduce e allontana dal mistero dell’intimità spirituale. Non riuscire ad accettare di essere ambivalenti, che siano presenti in noi queste due forze, ci porta all’ambiguità: vivere solo lo spirito o vivere solo la carne, vuole dire fuggire l’altra parte, non viverla e non controllarla. Vivere da salvati perciò significa non essere ambigui, ma preferire la Sapienza di Dio e rinnovarla giorno dopo giorno. Ciascuno sceglie di far vivere dentro di se la parte che vuole seguire. Alla sapienza umana San Paolo fa seguire la causa della divisione delle comunità: ribadisce che i predicatori sono solo di Dio, che ne sono strumento, che tra loro sono collaboratori alla pari. Il dono del vangelo è ciò che conta, chi lo annuncia è solo un costruttore e la sua opera viene in fine vista dal giudizio di Dio. Riguardo al Suo giudizio don Andrea ha aggiunto che Lui non si scaglia contro chi fa il male, ma contro il male ed è per questo che chi è nell’errore “sfiora” il fuoco, infatti in Gesù siamo tutti salvati. E ha parlato della Santità, come appartenenza a Dio, essendone noi tempio. Il “santo” è separato dal profano, appartiene ad altro, appartiene a Dio, che ci ha acquistato a caro prezzo, con il sangue del Figlio. A questo si aggiunge la fiducia che Dio “distrugge” ciò che è male intenzionato verso di noi.
Riprendendo infine la predicazione, si è posta l’attenzione del vanto tra gli uomini contrapposto all’appartenenza a Cristo. La citazione “è tutto vostro e voi siete di Cristo” dà al servo la stessa valenza degli altri, che hanno la stessa potenza, poiché seguono la Sua sapienza. Il giudizio degli uomini, l’importanza attribuitasi non sono che causa di forza di fronte alle avversità: le prove vengono affrontate da chi crede in Cristo senza scoraggiamento, e senza la ricerca di queste: “quando sono debole allora sono forte” chiarisce il significato della ricerca di questa sapienza nel quotidiano. Diventa questo un criterio per dire che si sta veramente seguendo il Vangelo. Allo stesso modo quando San Paolo parla dicendo “diventate miei imitatori”, non accresce la propria convinzione di bravura, ma semplicemente parla della sua esperienza della sofferenza, tra flagellazioni e inimicizie, per Cristo, a causa del quale si affrontano le prove. Infine per esprimere la gravità della situazione delle comunità, chiede di preparare il suo arrivo, non per essere accolto, ma per incitare i gruppi a lavorare sulle difficoltà che hanno incontrato. A questo punto don Andrea si è agganciato al tema del senso di vuoto e di frustrazione che si provano a causa della Sapienza: la sapienza dell’uomo cerca di riempire il vuoto, fugge e ha paura , segue il successo e crea un rimedio fruibile ed immediato ai problemi. La Sapienza di Dio ci aiuta a gestirci: non siamo mai vuoti, la sua presenza con lo Spirito in noi riempie la nostra intimità, ma in questo occorre fede, perché si chiede la pazienza e il vuoto stesso per porsi innanzi a Dio. Il silenzio crea lo spazio, ma la compagnia della Sapienza può sembrare frustrante: è il coraggio di viverla che fa scoprire abitati e non la capacità di farlo.
In seguito il gruppo ha posto alcune domande a don Andrea e Lucio per primo ha chiesto cosa significhi smettere di essere uomini, quando effettivamente si cita nel testo che è troppo umano sbagliare.
La visione di “uomini” di san Paolo però è quella della carnalità, di una visione non dualistica dell’uomo che riconosce a lui di avere la tendenza alla carne, ma che non mettendolo al centro, gli dà una spinta a scegliere Dio. Mirjam ha chiesto del perché la Chiesa si divide sulle dottrine, perché l’intelligenza umana deve allora tanto essere considerata all’interno delle comunità come quella di oggi. Don Andrea di risposta è tornato al primo concetto di relazione con Dio, che è l’amore per Lui: la competizione non dovrebbe essere possibile tra le comunità, ma allora se accade è perché si è perso il fulcro delle forze in attività. Quale Cristo ha incontrato una comunità che si divide sulla sapienza umana? Non è l’idea di Cristo che può reggerla, ma Cristo stesso: solo Lui può creare l’unità. Alberto ha chiesto quali sono le prove che oggi si affrontano per Cristo. Don Andrea ha ricordato di non dover cercare le prove, ma nel quotidiano di affrontare le difficoltà alla luce del Vangelo. Parlando delle difficoltà nella sua esperienza personale, ha dato un esempio di come l’uomo buono e l’uomo cattivo convivono nell’animo e vivere la cristianità e la salvezza sta nel rinnovare ogni giorno la promessa di voler seguire Cristo con la Sapienza di Dio. Cercare di “sistemare le cose immediatamente” crea il senso di vuoto e la sua sopportazione può essere portata nel nome del Signore. Mirjam ha chiesto poi cosa significa il successo, se l’intraprendenza umana rende davvero così ciechi, se c’è così tanta negatività in una pura sapienza razionale. A questo Giacomo ha aggiunto la perplessità dell’avere un fine correlata all’avere i mezzi: si deve scegliere strumenti deboli? Avere strumenti in grandi quantità porta alla brama eccessiva incondizionatamente? Fino a che punto lo si fa consapevolmente? Chiara T. ha aggiunto che anche entrando in una dinamica ecclesiastica, tutto sommato il potere anche tra le persone che hanno gli stessi valori ha lo stesso tipo di influenza. Don Andrea, prendendo l’esempio di Papa Francesco I, lo ha presentato come una figura di successo, che ogni giorno lo gestisce. Ogni giorno si sfida e al mattino si ripropone di seguire la Sapienza di Dio. Il Vangelo non ci chiede di essere arresi, poiché il Signore vuole la nostra realizzazione nella nostra vita. Bisogna però distinguere tra la gioia in Dio e la gioia mondana: il Vangelo dà un criterio, che è dato dai frutti che la nostra vita produce. Dio non toglie l’ambivalenza dell’uomo buono e cattivo, ma ogni giorno viviamo la lotta della scelta di servire Dio. La fede in questo aiuta a gestirci.
Chiara T. ha chiuso la riunione ricordando i termini di adesione e invitando tutti alla cena, per un momento i condivisione e scambio degli auguri di Natale.
Percorso spirituale
Abbiamo aperto l’incontro con la lettura del Vangelo del giorno, Mt 1, 18-25. Don Andrea ha commentato con due osservazioni: la prima con un collegamento alla lettera ai Corinzi è stata sulla fantasia di Dio, che fa accadere cose inspiegabili alla ragione e che nella vita ordinaria porta la vita e la creatività; la seconda è stata sulla missione affidata a Giuseppe di “dare un nome” al figlio, chiamata che tutti abbiamo, che illuminati dalla fede diamo un nome alle cose che ci accadono e riusciamo a creare uno spazio per il pensiero a Dio.
Il gruppo ha poi pregato insieme il Padre Nostro e poi don Andrea ha ripreso la lectio su San Paolo, proponendo prima un richiamo degli elementi della volta precedente e poi la lettura e il commento della lettera ai Corinzi, iniziando dal sesto versetto del 2° capitolo fino alla fine del 4°.
Don Andrea ha ricordato il concetto dell’annuncio della croce come argomento banale agli occhi della sapienza del mondo e al contrario come questo porti chi crede nella bella notizia del Suo Amore a ricevere la potenza della vita da salvati, poiché agli occhi di Dio tutti lo siamo, ma che solo il vivere da salvati può consentire la pienezza. Uno sforzo razionale non può capire, poiché solo gli strumenti umili e deboli nell’ottica del mondo a conquistare la nostra vita, perché nelle Sue mani aprono la possibilità di vivere in modo nuovo. San Paolo lo sostiene dicendo che la prova di questo amore sono proprio le persone, i Corinzi, che credono in Cristo, e la conversione e la predicazione di lui stesso; inoltre si riconosce come strumento di Dio, umile servitore.
Qui cominciando la lettura si risale al motivo per cui San Paolo scrive la lettera: i Corinzi si sono divisi a causa delle loro guide, per un litigio circa l’importanza dei predicatori come Apollo e Paolo stesso e circa la sequela conseguente. Facendo un esempio della spettacolarità della persona che rappresenta papa Francesco I, ha sottolineato che un predicatore vuole portare a Cristo. Riprendendo il concetto dell’annuncio di Cristo come scandalo per la sapienza di questo mondo, ha rimarcato la presenza di due tipi di sapienza: quella del mondo appunto e quella di Dio. Lui prepara la sapienza per chi lo ama, per chi entra nel Suo Amore, nella relazione con Lui. La fiducia in Lui solo può indurre la sapienza di Dio ed essa non può essere dominata dal mondo. Lo Spirito rivela a noi stessi la nostra vita: lungo il suo corso, non ci conosciamo mai pienamente, ma in noi fa chiarezza la nostra parte spirituale, la nostra intimità è lo Spirito che abita in noi. Anche Dio stesso si conosce per mezzo della Spirito, che è la sua intimità. Questo può sembrare folle all’uomo, ma sono la sua stessa razionalità, la sua stessa sapienza, la brama di successo e l’ottica del mondo, che sono una parte di lui, a pensarsi “un padre eterno”. In ognuno vivono due forze contrapposte che tendono al corpo e allo spirito, e il fascino del mondo seduce e allontana dal mistero dell’intimità spirituale. Non riuscire ad accettare di essere ambivalenti, che siano presenti in noi queste due forze, ci porta all’ambiguità: vivere solo lo spirito o vivere solo la carne, vuole dire fuggire l’altra parte, non viverla e non controllarla. Vivere da salvati perciò significa non essere ambigui, ma preferire la Sapienza di Dio e rinnovarla giorno dopo giorno. Ciascuno sceglie di far vivere dentro di se la parte che vuole seguire. Alla sapienza umana San Paolo fa seguire la causa della divisione delle comunità: ribadisce che i predicatori sono solo di Dio, che ne sono strumento, che tra loro sono collaboratori alla pari. Il dono del vangelo è ciò che conta, chi lo annuncia è solo un costruttore e la sua opera viene in fine vista dal giudizio di Dio. Riguardo al Suo giudizio don Andrea ha aggiunto che Lui non si scaglia contro chi fa il male, ma contro il male ed è per questo che chi è nell’errore “sfiora” il fuoco, infatti in Gesù siamo tutti salvati. E ha parlato della Santità, come appartenenza a Dio, essendone noi tempio. Il “santo” è separato dal profano, appartiene ad altro, appartiene a Dio, che ci ha acquistato a caro prezzo, con il sangue del Figlio. A questo si aggiunge la fiducia che Dio “distrugge” ciò che è male intenzionato verso di noi.
Riprendendo infine la predicazione, si è posta l’attenzione del vanto tra gli uomini contrapposto all’appartenenza a Cristo. La citazione “è tutto vostro e voi siete di Cristo” dà al servo la stessa valenza degli altri, che hanno la stessa potenza, poiché seguono la Sua sapienza. Il giudizio degli uomini, l’importanza attribuitasi non sono che causa di forza di fronte alle avversità: le prove vengono affrontate da chi crede in Cristo senza scoraggiamento, e senza la ricerca di queste: “quando sono debole allora sono forte” chiarisce il significato della ricerca di questa sapienza nel quotidiano. Diventa questo un criterio per dire che si sta veramente seguendo il Vangelo. Allo stesso modo quando San Paolo parla dicendo “diventate miei imitatori”, non accresce la propria convinzione di bravura, ma semplicemente parla della sua esperienza della sofferenza, tra flagellazioni e inimicizie, per Cristo, a causa del quale si affrontano le prove. Infine per esprimere la gravità della situazione delle comunità, chiede di preparare il suo arrivo, non per essere accolto, ma per incitare i gruppi a lavorare sulle difficoltà che hanno incontrato. A questo punto don Andrea si è agganciato al tema del senso di vuoto e di frustrazione che si provano a causa della Sapienza: la sapienza dell’uomo cerca di riempire il vuoto, fugge e ha paura , segue il successo e crea un rimedio fruibile ed immediato ai problemi. La Sapienza di Dio ci aiuta a gestirci: non siamo mai vuoti, la sua presenza con lo Spirito in noi riempie la nostra intimità, ma in questo occorre fede, perché si chiede la pazienza e il vuoto stesso per porsi innanzi a Dio. Il silenzio crea lo spazio, ma la compagnia della Sapienza può sembrare frustrante: è il coraggio di viverla che fa scoprire abitati e non la capacità di farlo.
In seguito il gruppo ha posto alcune domande a don Andrea e Lucio per primo ha chiesto cosa significhi smettere di essere uomini, quando effettivamente si cita nel testo che è troppo umano sbagliare.
La visione di “uomini” di san Paolo però è quella della carnalità, di una visione non dualistica dell’uomo che riconosce a lui di avere la tendenza alla carne, ma che non mettendolo al centro, gli dà una spinta a scegliere Dio. Mirjam ha chiesto del perché la Chiesa si divide sulle dottrine, perché l’intelligenza umana deve allora tanto essere considerata all’interno delle comunità come quella di oggi. Don Andrea di risposta è tornato al primo concetto di relazione con Dio, che è l’amore per Lui: la competizione non dovrebbe essere possibile tra le comunità, ma allora se accade è perché si è perso il fulcro delle forze in attività. Quale Cristo ha incontrato una comunità che si divide sulla sapienza umana? Non è l’idea di Cristo che può reggerla, ma Cristo stesso: solo Lui può creare l’unità. Alberto ha chiesto quali sono le prove che oggi si affrontano per Cristo. Don Andrea ha ricordato di non dover cercare le prove, ma nel quotidiano di affrontare le difficoltà alla luce del Vangelo. Parlando delle difficoltà nella sua esperienza personale, ha dato un esempio di come l’uomo buono e l’uomo cattivo convivono nell’animo e vivere la cristianità e la salvezza sta nel rinnovare ogni giorno la promessa di voler seguire Cristo con la Sapienza di Dio. Cercare di “sistemare le cose immediatamente” crea il senso di vuoto e la sua sopportazione può essere portata nel nome del Signore. Mirjam ha chiesto poi cosa significa il successo, se l’intraprendenza umana rende davvero così ciechi, se c’è così tanta negatività in una pura sapienza razionale. A questo Giacomo ha aggiunto la perplessità dell’avere un fine correlata all’avere i mezzi: si deve scegliere strumenti deboli? Avere strumenti in grandi quantità porta alla brama eccessiva incondizionatamente? Fino a che punto lo si fa consapevolmente? Chiara T. ha aggiunto che anche entrando in una dinamica ecclesiastica, tutto sommato il potere anche tra le persone che hanno gli stessi valori ha lo stesso tipo di influenza. Don Andrea, prendendo l’esempio di Papa Francesco I, lo ha presentato come una figura di successo, che ogni giorno lo gestisce. Ogni giorno si sfida e al mattino si ripropone di seguire la Sapienza di Dio. Il Vangelo non ci chiede di essere arresi, poiché il Signore vuole la nostra realizzazione nella nostra vita. Bisogna però distinguere tra la gioia in Dio e la gioia mondana: il Vangelo dà un criterio, che è dato dai frutti che la nostra vita produce. Dio non toglie l’ambivalenza dell’uomo buono e cattivo, ma ogni giorno viviamo la lotta della scelta di servire Dio. La fede in questo aiuta a gestirci.
Chiara T. ha chiuso la riunione ricordando i termini di adesione e invitando tutti alla cena, per un momento i condivisione e scambio degli auguri di Natale.