Preghiera d'inizio
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele. Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: “Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino.” E i discepoli gli dissero: “Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?”.
Gesù domandò loro: “Quanti pani avete?”. Dissero: “Sette, e pochi pesciolini.” Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Un impresario edile poco onesto non può imbrogliare al punto da costruire un piano in meno dell’edificio progettato: la casa deve essere costruita, si deve vedere, deve superare il collaudo. Può speculare sulle fondamenta che, in terreni paludosi richiedono la spesa equivalente ad innalzare il resto del fabbricato. Naturalmente, dopo pochi anni, si verificano incrinature nell’edificio, quando addirittura questo non crolla. Però è costato meno, e l’impresario disonesto si è notevolmente arricchito. Il credente sa che la “dimora eterna” deve iniziare a costruirsela durante la sua missione terrena. Sa pure che la casa non può mancare dei piani essenziali, progettati dal grande Architetto, se vuole mettersi al riparo dalle intemperie eterne. Allora è tentato di speculare sulle fondamenta. Costruisce così una religiosità apparente, che non costa troppo. Dobbiamo stare particolarmente attenti oggi, poiché la speculazione è di moda, e non se ne percepisce nemmeno la gravità morale. Con Dio, poi, non conviene nemmeno speculare, dal momento che scruta dalla sommità dei cieli alle profondità della terra, e nulla può sfuggire al suo sguardo. Sono molti i rischi di costruire una fede non salda, perché poggiata su basi superficiali; ad esempio: predicare agli altri e non ascoltare noi stessi la Parola; ascoltarla, ma non decidersi mai a metterla in pratica; iniziare con entusiasmo un cammino di conversione, ma non essere perseveranti; scendere a continui compromessi, allo scopo di salvare i propri interessi e le esigenze di Dio.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perchè tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
Mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
Sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
Tutti i giorni della mia vita,
abiterò la casa del Signore
per lunghi giorni.
A proposito dell’avarizia, esaminiamo il concetto che ad essa si contrappone: la Giustizia. Ospite don Marco Cagol
Dal tema discusso l’anno scorso, si è potuto evincere che la radice di tutte le crisi, economica, ambientale e simili, è l’avarizia, alla quale si contrappone la giustizia.
Sul concetto di giustizia si possono citare alcuni testimoni:
- Bonhoeffer, pastore protestante morto in campo di concentramento, in cui fu internato con l’accusa di aver complottato contro Hitler. In uno scritto del ’41, egli dice che, talvolta, sotto l’aspetto della giustizia può celarsi il più grande disordine etico (riferendosi all’affermarsi del nazismo).
Ciò a riprova del fatto che non è facile definire la giustizia.
- Rosario Livatino, giudice ucciso negli anni ’80 dalla mafia. Dice: “Un magistrato deve scegliere per decidere, decidere per ordinare, e in questi atti riconosce il bisogno di Dio. Egli è in rapporto diretto con Dio mediante le persone che deve difendere, alle quali deve rendere giustizia. Rendere giustizia è realizzazione di sé e del rapporto con Dio.”
Da ciò si deduce che giustizia non è solo corrispondenza con le leggi, e che talvolta le nostre scelte trascendono noi stessi.
- La Bibbia, nella quale la giustizia compare numerosissime volte, col significato di “giustizia di Dio”. Al di là delle forme sociali (famiglia, vedovanza, ecc), la giustizia è la fedeltà che Dio ha nel suo amore per l’uomo. Dio è “giusto” perché tende sempre a ricostruire le sue relazioni con noi (ad esempio, mediante confessione e perdono). A portare a compimento la giustizia è proprio Gesù, venuto a ricostruire i nostri rapporti con Dio.
Giustizia ha quindi a che vedere con la relazione che Dio ha con l’uomo. Relazione che però deve esistere anche tra di noi, che si ricostruisce completamente. Ed ecco che arriviamo all’aspetto “sociale” della giustizia. Giustizia è tendere a ricostruire nell’uomo l’immagine stessa di Dio, supplendo all’incapacità dell’altro.
La definizione classica teologica di giustizia è quella data da San Tommaso d'Aquino: “Giustizia è l’habitus con cui si dà a ciascuno il suo con volere costante e perenne”. In questa frase vi è un’ambiguità: vi si potrebbe infatti percepire la giustizia come intesa in termini di scambio: se io do una cosa, poi la rivoglio in misura uguale. In tal modo la giustizia entra in una dimensione “quantitativa”. Dobbiamo però ricordare che non si parla solo di giustizia “commutativa”, ma anche di “reciprocità”. E questo concetto è ampiamente approfondito nella “Caritas in Veritate”.
A ciò si collega una definizione data da papa Giovanni Paolo II: “Giustizia è comprendere che esiste qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo”. Per contro, non è giusto ciò che priva l’uomo di quanto gli spetta. Ciò che gli spetta, però, per diritto: non qualcosa che avanza da un altro uomo.
Qualsiasi modo di organizzare società e relazioni che non dia all’uomo ciò che gli spetta non è giusto. Connotazione fondamentale della persona è la giustizia, ma bisogna fare attenzione, perché anche la più grande ingiustizia può mascherarsi da giustizia.
Tutto ciò ci porta a domandarci:
- Che cosa è dovuto all’uomo in quanto uomo?
- Chi è l’uomo? Chi è l’essere umano?
- Chi è tenuto a dare all’uomo ciò che gli è dovuto?
Per rispondere alla seconda domanda, possiamo pensare ad esempio alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che ci dà una definizione abbastanza precisa, anche se sempre discutibile. Per quanto riguarda la terza domanda, viene spontaneo pensare che la responsabilità sia di tutti. La relazione umana si costruisce anche e soprattutto sulla giustizia, ed è importante che vi sia relazione fraterna tra gli uomini. A tal proposito va ricordato che vi sono delle responsabilità particolari, come quella del politico o del giudice.
Benedetto XVI, parlando della povertà, ha affermato che “la marginalizzazione dei poveri si può risolvere, politicamente ed economicamente, ma solo quando vi sia un interessamento personale di ogni uomo”. Tale affermazione presenta un modo di vedere antitetico all’individualismo: tutto sta nel saper capire se il rapporto con gli altri sia un conflitto o una responsabilità, se gli altri siano da considerare nemici oppure fratelli.
Atteggiamenti interiori verso la giustizia:
- II^ lettera di Pietro: “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia”. Con ciò non bisogna pensare che la giustizia sia totalmente assente su questa terra, come si è creduto e interpretato. Pietro parla di giustizia “stabile”, non di giustizia in senso generale. La giustizia va cercata e perseguita anche qui, solo che non è stabile: ci sta sempre davanti, ma non è mai portata a compimento.
- Vangelo di Matteo, riguardo alle beatitudini: “beati coloro che hanno sete della giustizia..”. La giustizia è una disposizione del cuore, un modo di essere dell’intelligenza, della volontà, del cuore. Non è solo un fatto di cuore o di sentimento, perché quest’ultimo da solo porterebbe alla vendetta.
- Prima lettera di S. Paolo a Timoteo: “Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.”
- La sobrietà implica la relazione con se stessi; la giustizia la relazione con gli altri; la pietà, intesa come pietas, la relazione con Dio. E tra queste tre qualità viene a crearsi una triplice corrispondenza. Chi non è sobrio, cioè chi non ha misura verso se stesso, infatti, non darà agli altri ciò che spetta loro, mentre chi lo è, deve essere in grado di dare nella giusta misura, e dovrà quindi essere anche giusto. Dall’altro lato, chi non ha il senso della giustizia, non è neppure sobrio.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 10:09:38
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele. Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: “Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino.” E i discepoli gli dissero: “Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?”.
Gesù domandò loro: “Quanti pani avete?”. Dissero: “Sette, e pochi pesciolini.” Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Un impresario edile poco onesto non può imbrogliare al punto da costruire un piano in meno dell’edificio progettato: la casa deve essere costruita, si deve vedere, deve superare il collaudo. Può speculare sulle fondamenta che, in terreni paludosi richiedono la spesa equivalente ad innalzare il resto del fabbricato. Naturalmente, dopo pochi anni, si verificano incrinature nell’edificio, quando addirittura questo non crolla. Però è costato meno, e l’impresario disonesto si è notevolmente arricchito. Il credente sa che la “dimora eterna” deve iniziare a costruirsela durante la sua missione terrena. Sa pure che la casa non può mancare dei piani essenziali, progettati dal grande Architetto, se vuole mettersi al riparo dalle intemperie eterne. Allora è tentato di speculare sulle fondamenta. Costruisce così una religiosità apparente, che non costa troppo. Dobbiamo stare particolarmente attenti oggi, poiché la speculazione è di moda, e non se ne percepisce nemmeno la gravità morale. Con Dio, poi, non conviene nemmeno speculare, dal momento che scruta dalla sommità dei cieli alle profondità della terra, e nulla può sfuggire al suo sguardo. Sono molti i rischi di costruire una fede non salda, perché poggiata su basi superficiali; ad esempio: predicare agli altri e non ascoltare noi stessi la Parola; ascoltarla, ma non decidersi mai a metterla in pratica; iniziare con entusiasmo un cammino di conversione, ma non essere perseveranti; scendere a continui compromessi, allo scopo di salvare i propri interessi e le esigenze di Dio.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perchè tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
Mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
Sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
Tutti i giorni della mia vita,
abiterò la casa del Signore
per lunghi giorni.
A proposito dell’avarizia, esaminiamo il concetto che ad essa si contrappone: la Giustizia. Ospite don Marco Cagol
Dal tema discusso l’anno scorso, si è potuto evincere che la radice di tutte le crisi, economica, ambientale e simili, è l’avarizia, alla quale si contrappone la giustizia.
Sul concetto di giustizia si possono citare alcuni testimoni:
- Bonhoeffer, pastore protestante morto in campo di concentramento, in cui fu internato con l’accusa di aver complottato contro Hitler. In uno scritto del ’41, egli dice che, talvolta, sotto l’aspetto della giustizia può celarsi il più grande disordine etico (riferendosi all’affermarsi del nazismo).
Ciò a riprova del fatto che non è facile definire la giustizia.
- Rosario Livatino, giudice ucciso negli anni ’80 dalla mafia. Dice: “Un magistrato deve scegliere per decidere, decidere per ordinare, e in questi atti riconosce il bisogno di Dio. Egli è in rapporto diretto con Dio mediante le persone che deve difendere, alle quali deve rendere giustizia. Rendere giustizia è realizzazione di sé e del rapporto con Dio.”
Da ciò si deduce che giustizia non è solo corrispondenza con le leggi, e che talvolta le nostre scelte trascendono noi stessi.
- La Bibbia, nella quale la giustizia compare numerosissime volte, col significato di “giustizia di Dio”. Al di là delle forme sociali (famiglia, vedovanza, ecc), la giustizia è la fedeltà che Dio ha nel suo amore per l’uomo. Dio è “giusto” perché tende sempre a ricostruire le sue relazioni con noi (ad esempio, mediante confessione e perdono). A portare a compimento la giustizia è proprio Gesù, venuto a ricostruire i nostri rapporti con Dio.
Giustizia ha quindi a che vedere con la relazione che Dio ha con l’uomo. Relazione che però deve esistere anche tra di noi, che si ricostruisce completamente. Ed ecco che arriviamo all’aspetto “sociale” della giustizia. Giustizia è tendere a ricostruire nell’uomo l’immagine stessa di Dio, supplendo all’incapacità dell’altro.
La definizione classica teologica di giustizia è quella data da San Tommaso d'Aquino: “Giustizia è l’habitus con cui si dà a ciascuno il suo con volere costante e perenne”. In questa frase vi è un’ambiguità: vi si potrebbe infatti percepire la giustizia come intesa in termini di scambio: se io do una cosa, poi la rivoglio in misura uguale. In tal modo la giustizia entra in una dimensione “quantitativa”. Dobbiamo però ricordare che non si parla solo di giustizia “commutativa”, ma anche di “reciprocità”. E questo concetto è ampiamente approfondito nella “Caritas in Veritate”.
A ciò si collega una definizione data da papa Giovanni Paolo II: “Giustizia è comprendere che esiste qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo”. Per contro, non è giusto ciò che priva l’uomo di quanto gli spetta. Ciò che gli spetta, però, per diritto: non qualcosa che avanza da un altro uomo.
Qualsiasi modo di organizzare società e relazioni che non dia all’uomo ciò che gli spetta non è giusto. Connotazione fondamentale della persona è la giustizia, ma bisogna fare attenzione, perché anche la più grande ingiustizia può mascherarsi da giustizia.
Tutto ciò ci porta a domandarci:
- Che cosa è dovuto all’uomo in quanto uomo?
- Chi è l’uomo? Chi è l’essere umano?
- Chi è tenuto a dare all’uomo ciò che gli è dovuto?
Per rispondere alla seconda domanda, possiamo pensare ad esempio alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che ci dà una definizione abbastanza precisa, anche se sempre discutibile. Per quanto riguarda la terza domanda, viene spontaneo pensare che la responsabilità sia di tutti. La relazione umana si costruisce anche e soprattutto sulla giustizia, ed è importante che vi sia relazione fraterna tra gli uomini. A tal proposito va ricordato che vi sono delle responsabilità particolari, come quella del politico o del giudice.
Benedetto XVI, parlando della povertà, ha affermato che “la marginalizzazione dei poveri si può risolvere, politicamente ed economicamente, ma solo quando vi sia un interessamento personale di ogni uomo”. Tale affermazione presenta un modo di vedere antitetico all’individualismo: tutto sta nel saper capire se il rapporto con gli altri sia un conflitto o una responsabilità, se gli altri siano da considerare nemici oppure fratelli.
Atteggiamenti interiori verso la giustizia:
- II^ lettera di Pietro: “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia”. Con ciò non bisogna pensare che la giustizia sia totalmente assente su questa terra, come si è creduto e interpretato. Pietro parla di giustizia “stabile”, non di giustizia in senso generale. La giustizia va cercata e perseguita anche qui, solo che non è stabile: ci sta sempre davanti, ma non è mai portata a compimento.
- Vangelo di Matteo, riguardo alle beatitudini: “beati coloro che hanno sete della giustizia..”. La giustizia è una disposizione del cuore, un modo di essere dell’intelligenza, della volontà, del cuore. Non è solo un fatto di cuore o di sentimento, perché quest’ultimo da solo porterebbe alla vendetta.
- Prima lettera di S. Paolo a Timoteo: “Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.”
- La sobrietà implica la relazione con se stessi; la giustizia la relazione con gli altri; la pietà, intesa come pietas, la relazione con Dio. E tra queste tre qualità viene a crearsi una triplice corrispondenza. Chi non è sobrio, cioè chi non ha misura verso se stesso, infatti, non darà agli altri ciò che spetta loro, mentre chi lo è, deve essere in grado di dare nella giusta misura, e dovrà quindi essere anche giusto. Dall’altro lato, chi non ha il senso della giustizia, non è neppure sobrio.
Scritto da Giulia il agosto 23 2011 10:09:38